mercoledì, agosto 30, 2017

Weindel: Pfitzner versus Busoni (libertà della musica o pericolo futurista?)


Recensione a

Martina Weindel, “La ‘Freiheit der Musik’ (la libertà della musica) di Busoni versus ‘Futuristengefahr’ (il pericolo dei futuristi) di Pfitzner”.

in Busoni Arlecchino e il futurismo, Atti del Convegno, Empoli 13-14 marzo 2016, pp. 157-172 (v. Busoni Arlecchino e il f.).

Hans Pfitzner

Hans Pfitzner

(dal sito ub.uni-frankfurt.de)



Alla seconda parte del titolo del Convegno (… “e il futurismo”) dedica la propria ricerca la studiosa tedesca Martina Weindel.

La traduzione del Manifesto marinettiano e la prima esposizione di futuristi a Berlino (1912) determinarono, in Germania, una polarizzazione tra conservatori e innovatori. Tutti coloro che i conservatori avvertivano come un pericolo per l’arte tràdita venivano promiscuamente accusati di ‘futurismo’. La vittima più illustre di questa semplificazione è forse Ferruccio Busoni. “Lasciai Berlino diffamato come futurista e mi ritrovo giudicato come non abbastanza progressista” scrive al figlio Raffaello (1921). L’infamante accusa gli era stata mossa in un risentito pamphlet di Hans Pfitzner (Futuristengefahr. Bei Gelegenheit von Busonis Aesthetik, 1917) in reazione alla seconda versione (1916) del suo Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst (“Abbozzo di una nuova estetica dell’arte dei suoni”).

L’autrice chiarisce che il pericolo paventato da Pfitzner si fonda su un grossolano equivoco. 

busoni ritratto da boccioni

Busoni ritratto da Boccioni (partic.)

(il musicista empolese stimava Boccioni
ma non condivideva l’estremismo chiassoso del futurismo)
Probabilmente fuorviato dal carattere asistematico dell'Abbozzo busoniano, e da frasi che a una lettura superficiale possono richiamare le sparate futuriste contro la tradizione, il musicista tedesco legge l'intervento busoniano, e la sua esortazione a svincolarsi da regole precostituite, come un rifiuto della forma e un invito a far tabula rasa della grande tradizione musicale europea e tedesca in particolare. Ma, in verità,  Busoni non rifiuta il concetto di forma strutturale. È invece convinto che – per usare le sue parole – “ogni motivo contenga, come un seme, un germoglio”, che “in ogni motivo giace già determinata la sua forma matura; ciascuna si deve sviluppare a modo suo, ma ciascuna segue la legge dell’armonia eterna”. Una concezione, questa, che alla studiosa tedesca richiama il concetto goethiano della "Metamorphose der Pflanzen (la metamorfosi delle piante)"; e che al filosofo potrebbe forse ricordare la teoria aristotelica dell'atto che non fa che attualizzare ciò che è già in potenza, e al lettore italiano la tesi desanctisiana della situazione che determina la forma poetica...

Eppure non mancano, fra i duellanti, importanti punti di contatto (natura astratta della musica, singolarità della sua posizione rispetto alle altre arti, carattere assoluto e incomparabilità della singola opera d’arte…). Ma le differenze sono tante e inconciliabili. A partire da quella fondamentale: mentre per Busoni le conquiste della musica precedente non sono che “l’inizio di un percorso che deve ancora raggiungere il suo culmine”, per Pfitzner l’evoluzione musicale ha già raggiunto un “periodo di massima fioritura”, quello dell’epoca beethoveniana. Di quella vetta, che a lui appare minacciata dalla successiva ‘decadenza’, Pfitzner si fa scudiero e paladino, accanendosi “contro i componenti puramente tecnici e stilistici della ‘nuova musica’ proclamata da Busoni”. 
Pfitzner nel suo studio

Pfitzner nel suo studio

(sullo sfondo il ritratto di Schopenhauer,

filosofo molto presente nella musica tedesca del secondo ’800)

Saggio, questo della Weindel, molto interessante, che fa chiarezza su una polemica che inasprì gli animi dei protagonisti ben al di là di quanto le innegabili divergenze fra i due avrebbero comportato se il dibattito si fosse svolto in un clima più sereno.

A conclusione (e tra parentesi) vorrei modestamente segnalare all'autrice una probabile svista, o refuso, nella frase “la sua affermazione che la forza creativa in una persona sia resa più riconoscibile quanto meno sia resa indipendente da cose tramandate” (p. 161), dove probabilmente sarà da leggere “quanto più sia resa indipendente...”.

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