La deformazione caricaturale, tipica del teatro grottesco, trova precisi riscontri nell'arte espressionistica come in questa Danza intorno al vitello d'oro di Emil Nolde (1910) |
L’anno da poco trascorso ricorreva il centenario del
secondo “grottesco” di Luigi Chiarelli, La
scala di seta, rappresentato al Teatro Argentina di Roma il 29 giugno del
1917 (non il 18, come erroneamente riportato nel DBI). La “prima” lasciò
parzialmente deluso il pubblico, probabilmente
disorientato dall’eccessiva complicazione della trama. Ma il favore della
platea crebbe rapidamente nelle serate successive, quando qualche opportuna
sforbiciata e, se l’ipotesi non è troppo azzardata, le recensioni e i riassunti
pubblicati sui giornali, avevano reso meno disagevole orientarsi nel groviglio
di personaggi ed episodi. Insomma, sia pure non senza contrasti, un successo notevole.
E non effimero, se la commedia fu successivamente riproposta con fortuna anche
dalla Compagnia Gandusio. Eppure, a mia conoscenza, nessuno ha pensato di
celebrare la ricorrenza con una ripresa o in altro modo. Su questo può aver
pesato il giudizio negativo di un critico teatrale del peso di Adriano Tilgher,
e una certa farraginosità residua anche dopo gli interventi di potatura
suggeriti all’autore da pubblico e critica. Ma alla… dimenticanza, forse non è
estranea l’asprezza della satira politica, che già allora causò più d’un mugugno,
e più ne avrebbe suscitato in questo nostro tempo segnato dallo scetticismo,
dal disgusto, dall’antipolitica. Eppure, nonostante
gli innegabili difetti artistici, la commedia meriterebbe senz'altro una ripresa. In mancanza,
accontentiamoci di una rilettura.
L’autore
Luigi Chiarelli (Trani 1880 – Roma 1947) è noto come
l’inventore del “teatro delgrottesco”, un genere teatrale volto a sottolineare
l’irrazionalità e l’incoerenza di certi aspetti e convenzioni della vita
borghese mediante il ricorso alla deformazione caricaturale dei personaggi,
l’incongruenza dei loro discorsi e delle loro azioni, la mescolanza di tragico
e comico, tale da suscitare, com’è stato ben detto, un “riso senz’allegria”. A
Chiarelli si deve la prima opera che si fregia di quella definizione: La maschera e il volto, che reca come
sottotitolo la dicitura“Grottesco in tre atti”; commedia composta tre/quattro
anni prima, ripetutamente rifiutata dai comici, e portata al trionfo dalla
“Compagnia Drammatica di Roma” il 31 maggio 1916. Incoraggiato dall’inaspettato
successo, l’autore ritentò il colpo l’anno dopo col ‘grottesco’ qui esaminato.
Il ‘miracolo’ non si rinnovò, ma, come si è visto, contrasti e incomprensioni
furono presto abbandonati, e – nonostante riserve critiche fondate – la commedia continuò a divertire il pubblico ancora per
molto tempo.
Personaggi principali
Il numero spropositato degli interlocutori (21!), e le
complicazioni della trama, che contribuirono a disorientare gli spettatori della
‘prima’, rendono non facile darne un riassunto chiaro e sintetico al tempo
stesso. Per agevolare il compito, premettiamo un elenco dei personaggi principali:
Selmi, senatore, già due volte
ministro e ora potentissimo quanto ambizioso uomo politico;
Selika, affascinante forestiera
(origini misteriose), amante di Selmi;
Roberto Felci, segretario e
collaboratore di Selmi, fidanzato di Lauretta
sua figlia;
Désiré, maestro di ballo, di origini oscure,
idolo del mondo femminile;
Raul, il cinico della situazione;
Simonide, forestiero, sedicente Altezza
Reale, sempre ben informato d’ogni cosa;
Maria Taglioni, ballerina, a cui Désiré –
quand’era ancora ignoto e senza soldi – aveva promesso nozze mai celebrate.
Riassunto
Per cominciare, chiariamo subito che La scala di seta chiarelliana non ha nulla che fare con l’omonima
breve opera rossiniana su libretto di Giuseppe Foppa. L’unico elemento comune è
la scala di seta: in senso proprio nel
testo foppiano (serve all’amato per raggiungere la finestra dell’amata), in
senso metaforico nel nostro (“Si sale, si sale!” – dice Selika al
neocommendatore Désiré. “Dolcemente, facilmente, come per una scala di seta…”).
Atto I
Selmi, presidente della Commissione di studio sul
progetto di “riscatto” della Ferrovia Transahariana (cioè rilevamento
dell’esercizio da parte dello Stato), ha in mente una colossale speculazione.
Ne intuisce le intenzioni Selika, sua amante. Desiderosa d’inserirsi nell’affare,
ricerca l’aiuto e la complicità di Roberto Felci, incaricato dello studio del
progetto. Di fronte allo sdegnato rifiuto, Selika gli fa notare l’ambiguità
della sua posizione: onesto e… collaboratore del capo di una banda di pirati!
Deve scegliere: o essere veramente onesto (rassegnandosi a una prospettiva di
solitudine e immeritate sofferenze) oppure farsi egli stesso “pirata senza
scrupoli” e usare le sue eccellenti qualità personali per vincere, per
trionfare su gente meschina come Selmi e la servile compagnia che gli sta
intorno. Vincerò – assicura Roberto – ma con l’unico modo a me congeniale:
“lottando a viso aperto e con armi franche”. È questa la sua scommessa con la
vita.
Il progetto di Selmi incontra un ostacolo nel Ministro del tesoro, che lo giudica “disastroso per lo
Stato”. È perciò necessario fondare un giornale per convincere l’opinione
pubblica della convenienza dell’affare. Lo dirigerà Roberto Felci, dice Selmi
ai suoi onorevoli tirapiedi: proprio perché onesto, ha la credibilità
necessaria; e, ingenuo com’è, in caso di bisogno sarà il parafulmine ideale. Ma
Roberto rifiuta di prestarsi al gioco.
La certezza che il “riscatto” si farà giunge all’orecchio di Selika, che ne chiede spiegazioni
all’amante. Chi l’avrà informata? Selmi, sospettando Felci di infedeltà e
doppio gioco, gli chiede brutalmente quanto vuole, suscitando le risentite
proteste dell’ignaro segretario.
Ne approfitta Selika per riprendere la propria opera di
seduzione su Roberto. Se resterà solo – lo ammonisce – è già destinato alla
sconfitta. E l’ammonizione sancisce con un imprevisto quanto tenace bacio sulla
bocca. Proprio mentre giunge Lauretta, che, scrupolosa osservante delle buone
regole, si getta “svenuta” tra le braccia del ballerino.
Atto II
Il giorno dopo, la bella compagnia si trasferisce nella
villa di Selmi in un paese vicino Roma, per sostenere e festeggiare la
candidatura di Franchini. Il quale, però, ha avuto la pessima idea di morire
proprio quella mattina, suscitando la stizza di Selmi per la seccatura di
sostituirlo, e lo sgomento della signora Sbaraglia sua amante, non meno che del
signor Sbaraglia, affranto per la perdita della bella somma versatagli
annualmente dal Franchini a titolo di onorevole risarcimento. Entrambi, comunque,
godono il conforto delle sentite condoglianze degli amici.
Anche Lauretta, del resto, ha già trovato conforto al “tradimento”
di Roberto tra le braccia che ne avevano accolto lo svenimento di prammatica.
Ne siamo messi al corrente in un esilarante cinguettìo d’amore improntato alle
doverose lacrime di lei (“Le mie care illusioni perdute!”, “I miei sogni
distrutti!”, “Povero ideale!”…) e alla
nobile promessa di nozze riparatrici da parte di lui (“Sono un gentiluomo!”). Cinguettìo
troncato brutalmente dall’arrivo della gelosa Maria Taglioni. Inutili minacce,
seguite da rassegnata sottomissione. “Ebbene, sarò quello che tu vorrai”,
promette docile Maria, anticipando Pirandello. Ad aprirle gli occhi penserà
Raul, da Désiré incaricato di… “liquidarla”.
Selmi, intanto, accoglie volentieri la preghiera della
signora Sbaraglia di candidare il marito in sostituzione dell’amante. Ma la
notizia che Roberto agli elettori la propria candidatura, e che il suo comizio è stato un trionfo,
precipita nello sgomento i coniugi Sbaraglia – e anche Selmi – e suscita grave
delusione in Selika e Raul: non c’è più partita, addio divertimento! A meno che
– dice Selika – non ci inventiamo un terzo candidato, qualcuno che metta un po’ d’allegria: Désiré,
per esempio. Entusiasta della proposta, Raul corre a ordinare i manifesti
elettorali.
Al centro dell’intricata scena seguente è ancora Selmi:
ricattato da Désiré, che minaccia lo scandalo se si opporrà alle nozze
riparatrici; impaurito dall’intenzione di Selika di acquistare azioni della
Transahariana e scosso dal suo aperto disprezzo, minacciato da Felci furibondo
per l’inspiegabile rottura del fidanzamento… Quand’ecco una sconvolgente
notizia: Désiré vittima di un attentato. Attentato politico – sentenzia
Simonide – giacché il suo nome figura
tra i candidati. Riavutosi dallo stupore di siffatta candidatura, Selmi coglie
l’idea al balzo per disfarsi di Felci. Ma… colpo di scena: ecco Désiré! Vivo,
illeso! – È stata Maria – confida a Selmi. Che prontamente gli impone, se vuole diventare deputato, di negare
di aver visto l’aggressore. Désiré non capisce ma obbedisce. Fuori, del resto,
c’è già una folla acclamante, desiderosa di congratularsi con l’eroico
neocandidato, sfuggito al vile attentato “politico”.
Poi la musica richiama tutti al ballo… La notizia
dell’arresto di Felci non interessa più a nessuno.
Atto III
Qualche tempo dopo, all’inaugurazione della villa acquistata
da Selmi con i proventi della speculazione e regalata a Lauretta, troviamo i
soliti personaggi, convenuti per un ballo mascherato.
Selmi ha avuto l’incarico di formare il nuovo governo.
Tra i ministri, gli onorevoli deputati suoi tirapiedi, ma non il genero Désiré,
che se ne lamenta in uno scambio di battute acide con la moglie, più interessata al corteggiamento di S. A. Simonide (appuntamento, tra
un’ora, nel “salottino giallo”!). Ma la tresca è scoperta da quel tormentone
della Taglioni, che ne informa Raul e lascia sul tavolo una lettera ‘anonima’
per il tradito. La busta è consegnata al destinatario in presenza di Raul, che
lo prepara al colpo con battute via via più esplicite. Ma Désiré non se la
prende tanto: dopo tutto, il rivale è… “di sangue reale”!
Giunge Felci, prosciolto in istruttoria con l’aiuto di
Selika, e invitato da Lauretta, pentita – dice – e pronta a riscattarsi
offrendogli il suo corpo.
Selika propone ancora una volta a Roberto di unirsi a lei
e fuggire lontano da questi voraci “pigmei”, “troppo piccoli per poterli
combattere”. È convinta di poter comunicare a Roberto la propria indomita
energia. Ma le sue esortazioni non hanno effetto. Roberto si sente “fiaccato,
spezzato”. Ha perso la scommessa.
Eppure certe cose gli “fanno ancora male!”, deve
riconoscere all’incredibile notizia che Désiré sarà ministro. Ministro! Désiré!
Lo sciocco, vanitoso maestro di ballo c’è arrivato. Lo scandalo è inevitabile –
ha detto al suocero. – A meno che… – E Selmi, naturalmente, ha ceduto.
“Quando un uomo è salito tanto in alto…” dice trionfante
Désiré. Per il povero Felci questo è davvero troppo. “Salito dove, a che? Credi
veramente di avermi vinto? Tu me?... Sciocco! Gli uomini non si vincono, non si
sostituiscono!”. “Io me ne vado” aggiunge, “ma il posto che lascio vuoto nella
vita non sarà occupato né da te né da nessun altro”.
Non sfugge, la tragica allusione, alla povera Liliana,
l’umile, misconosciuta innamorata di Roberto. “Dove andate?... Dove andate?” chiede
angosciata, cercando di sbarrargli il passo. Troppo tardi! “Ti ho vista troppo
tardi!” le dice invece d’addio.
La commedia poi si chiude sull’immagine del neoministro
che grida parole sconnesse alla folla acclamante sotto il balcone, finché le
note del valzer lo risucchiano in sala, a governare le danze del gregge
mascherato.
Analisi del contenuto: "commedia di ambiente"
Tra le recensioni della prima serata si distingue quella
della “Tribuna” di Roma.
Il critico, che si firma con le iniziali M.C., rileva
“ingegno brillantissimo e originale”, “senso acre e spontaneo di umorismo”,
“novità e vivacità di idee”; “nel dialogo un’affascinante vivezza, e nella
caricatura delle ipocrisie umane un intuito finissimo, e nelle trovate sceniche
una comicità indiavolata, e nelle finalità un fondo generoso”. Non basta: “V’è
tanto spirito profuso nei tre atti della
Scala di seta da bastare per dieci
commedie: l’ironia vi balza fuori come spuma di Champagne”. Niente di meno!
E allora come si spiega la delusione, l’insofferenza del
pubblico alla fine del II atto e, più ancora, del III? Dov’è l’errore?
“Immaginando in Désiré una caricatura di avventuriero,
poiché egli non sale la scala del successo per virtù proprie, a forza di
muscoli e di colpi di genio, ma per la stupidità e miseria morale del mondo in
cui si muove e sgambetta, aveva avuto una concezione iniziale gustosa e non
priva certo di originalità”, riconosce M.C. Sennonché, “nel dare a questo
personaggio aspetti e atteggiamenti di fantoccio, l’autore avrebbe dovuto
creargli attorno figure antitetiche, dei personaggi reali, non delle caricature”.
E così, “per errore di prospettiva”, quasi tutto “è apparso sullo stesso piano
di satira”. Insomma, tutto caricato, tutto appiattito, e tutto ugualmente
irreale.
E invece, l’errore di prospettiva, a mio modesto avviso,
lo commette il critico. Il quale inquadra la commedia nello schema del
personaggio centrale – caricaturalmente deformato per spogliarlo dell’umanità e
rivestirlo della maschera appropriata al ‘tipo’ – e di un contorno di personaggi umani,
credibili, intesi a far risaltare la mostruosità del protagonista. Ma se questo
era il desiderio del critico, non era l’intenzione dello scrittore.
Questo lavoro, almeno a giudizio di chi scrive, va letto
secondo lo schema di quella che un tempo si chiamava “commedia di ambiente”.
Una commedia in cui, per statuto, l’attenzione dell’autore è rivolta non al
singolo personaggio, ma alla rappresentazione di un ambiente (vedi, per
esempio, il Goldoni del Campiello e,
più ancora, delle Baruffe chiozzotte).
In questo suo lavoro Chiarelli vuole presentarci lo spaccato d’un gruppo
sociale che ruota intorno all’arrivismo politico, un mondo degradato in cui il
personaggio positivo è inesorabilmente votato alla sconfitta. Il protagonista
vero, l’‘eroe’ del dramma, non è né il potentissimo Selmi, né quella marionetta
sciocca di Désiré, ma Roberto Felci, che incarna il vecchio, e mai dimenticato,
motivo romantico del conflitto dell’individuo eccezionale con l’abietta società
che lo circonda. Ed infatti, in una commedia sostanzialmente statica, è lui l’unico
personaggio a subire un’evoluzione (uscendone distrutto). Ed è, anzi, assieme a
quella specie di fuggevole apparizione che è la povera Liliana, l’unico
personaggio vero, non degradato dalla caricatura.
“Désiré non è che il centro di altrettanti piccoli
Désiré, cioè di marionette non molto dissimili dal principale modello”, scrive
il critico della “Tribuna”. Appunto: è proprio quello che l’autore voleva
rappresentare!
Per meglio comprendere la natura e gli umori di questo
ambiente, non ci resta che passare in rapida rassegna i singoli personaggi (i
più importanti – intendo – ché altrimenti non finiremmo più).
Anaslisi dei personaggi
Selmi: è il dominus attorno a cui ruota una ciurma di questuanti, di personaggi
servili e spregevoli: si va da disonorevoli deputati ad ignobili aristocratici,
a borghesi in cerca di fortuna. Agli occhi di costoro, egli è naturalmente un
gigante. Dai piedi d’argilla,
a giudizio di chi lo conosce bene. “Tu un gigante?” gli dice Selika. “Ah!...
Sai dov’è il gigante?. È nella
dabbenaggine, nella miseria, nella vigliaccheria di quelli che ti circondano!”.
Il suo non è propriamente cinismo, come quello di Raul. È cieca insensibilità
morale. Fin dal principio: la sua scalata al denaro e al potere cominciò con la
vendita della moglie a un uomo potente. “Credevo di essere un cinico: mi sono
ingannato!” dice a una Selika sprezzante e decisa ad abbandonarlo. “Un uomo che
è arrivato come me, crede ancora in qualche cosa; crede al valore della
potenza, crede in se stesso! Per questo difendo il mio, per questo non devi
lasciarmi!”. Per questo, non perché l’ami. Non distingue tra persone e cose,
lui; l’unico rapporto che conosce è quello del possesso.
Désiré: vanesio e
sciocco fino alla caricatura, autoproclamato "maestro di ballo"; idolo supremo di quel grigio, svanito mondo
femminile che popola la commedia. Si erge, in qualche caso, al ruolo di
antagonista di Felci, ma a torto. Se incredibilmente giunge dove non avrebbe
mai potuto sperare, lo deve a una serie di circostanze estranee alla sua
volontà, e spesso anche alla sua comprensione; alla dabbenaggine e alla miseria
morale circostanti; e alle bizzarrie della sorte. Il suo ruolo attivo si limita
ad assecondare l’onda; e all’attivazione di qualche volgare furberia, risorsa
congeniale alla sua perfetta indifferenza ai valori morali.
Selika, amante riluttante di Selmi.
Speculare a Désiré in quanto oggetto di sciocca idolatria del sesso opposto,
ma, diversamente da lui, bella e intelligente, sicura di sé e del suo fascino.
A Felci, che l’accusa di essere malvagia, risponde: “Nessuno mi ha mai domandato
di essere buona! […] Se un uomo un giorno avesse teso le mani verso di me,
sorridendo con rispetto e con fede, quell’uomo sarebbe diventato il re del
mondo. Ma gli uomini hanno troppo orgoglio; vogliono conquistare… e perdono se
stessi!” E lei si adegua. Per realizzare i suoi progetti non bada alla qualità dei
mezzi. E ricerca l’appoggio di Felci – l’unico uomo che ritiene meritevole di
stima e forse ama – senza accorgersi della contraddizione tra le ragioni della
stima e la bassezza a cui lo invita. L’onestà di fondo di Felci non la sgomenta:
l’abiezione degli uomini che la circondano le ha dato un alto concetto di sé,
un’impressione di onnipotenza. “Guarirai, risorgerai; per me! Sono io che lo
voglio!...” dice a un Felci ormai distrutto. “E la mia volontà è legge!”.
Roberto non si lascia convincere, ma deve riconoscere in sé la traccia del suo
passaggio.
Raul. La strada su cui sembra
incamminata Selika, è già stata interamente percorsa da Raul, a cui la bella
forestiera volentieri si accompagna, ammirandone l’intelligenza e condividendone
il disprezzo per la dabbenaggine e l’ipocrisia circostanti. È il tipo del
cinico, nel senso di persona indifferente, anzi beffardamente sprezzante di
valori, sentimenti e convenzioni, nei quali non crede. Eppure conserva anche
lui un briciolo di umanità. Verso Felci ha probabilmente una stima segreta e
quel senso di dolorosa compassione che si ha verso chi si vede correre
irrimediabilmente verso la propria perdizione. È questo che spiega il suo
istintivo correre ad abbracciare Roberto scampato alla prigione, e la mal
dissimulata commozione.
Lauretta: sul versante femminile, più di
Selika (che, a suo modo, è una fuoriclasse) il personaggio più rappresentativo
è Lauretta, che fa rima con farfalletta, o più propriamente con cretinetta. Confonde
i sentimenti con i capricci, il senso morale con le convenzioni sociali, attentissima
a non trasgredirne nemmeno una, ad assumere gli atteggiamenti volta a volta prescritti
come convenienti: lacrimucce, svenimenti ecc.
Roberto Felci. Ed eccoci al personaggio
cardine, quello che – agli occhi dell’autore – dovrebbe incarnare il positivo
di cui la fauna umana circostante rappresenta la negazione.
Segretario e collaboratore di Selmi, fondamentalmente
onesto, è convinto che basti alla sua onestà svolgere correttamente il suo
dovere di funzionario. “Che cosa faccio io per lui? Studio un affare, preparo
gli elementi per un’operazione, redigo una relazione sull’andamento di
un’impresa”, spiega a Selika. “Egli prende le mie parole ed i miei numeri e se ne serve nel modo che a lui piace:
onesto? disonesto? criminale? questo a me non interessa più”. Invano Selika gli
segnala l’ambiguità della sua posizione e lo esorta a fuggire da quella “banda
di pirati”. La sua scommessa con la vita è quella di riuscire a conciliare onestà
e successo. Riuscirà?
Mah! Désiré nota che “in fondo non è un cattivo ragazzo;
ma non sa andare a tempo! E non c’è
nulla di più sconveniente!”. “E di più dannoso!” aggiunge Selika, che l’accusata
discordanza ritmica volge a ben diverso significato!
“Io credevo che per vincere nella vita bastasse un cuore
saldo, una mente lucida, ed una fede sicura; credevo nella buona causa, e nella
giustizia degli uomini; credevo nella verità, nella bellezza e nell’amore!”
confesserà a Selika. Ora si sente “fiaccato, spezzato”. Ha perso. Inutili le
insistenze di lei a riprendere la lotta per la vita. La lotta, per lui, non ha
più senso. Ma la decisa rottura con quella “banda di pirati” gli ha conservato
almeno l’orgoglio della propria dignità.
E come non rammentare, accanto a lui, tra i personaggi
minimi, la sua ‘sorella’ poetica, l'evanescente figura di Liliana? Discreta,
appartata, sincera e innamorata, umile violetta cresciuta in un viluppo di
rovi. Troppo tardi la noterà l’amato, quando non potrà offrirle che un tardivo
sentimento di rimpianto.
Satira politica
Satira politica, si è detto. E la politica di quel terzo
anno di guerra (l’anno di Caporetto!) ne esce piuttosto malconcia. Un mondo di
arrivisti e di questuanti, di politicanti mossi esclusivamente da sete di
guadagno e di potere, di governanti disonesti e inetti (oh, Désiré ministro!), di
seguaci servili e abietti… Anche l’amore rientra in questo schema: la donna è
scala al potere o segno di raggiunto dominio. E le donne, per lo meno quelle
che sfarfallano nell’ambiente del senatore Selmi e del ballerino Désiré, sono,
sotto una maschera di rispettabilità, una massa di sventate prive di sentimenti
autentici, animate da interesse, capriccio, vanità…
Rappresentazione realistica o caricaturale? Non c’è dubbio
che la deformazione caricaturale abbia la sua parte. Del resto, tale
atteggiamento, e il pessimismo di fondo che ne è alla base, sono costitutivi
del genere grottesco. Il pubblico (non parliamo dei politici!) non la prese
bene. Almeno in un primo momento. E oggi?
La storia recente – verrebbe da dire – si è incaricata di
dimostrare che la realtà, a volte, è capace di superare le più bizzarre
fantasie! Ed è innegabile la tentazione di leggervi, detratta la tara della
caricatura, un sostanzioso residuo di verità; di riconoscervi situazioni e personaggi dei
nostri giorni. Pensate, per esempio, a quel progetto di fondare un giornale per
fare apparire conveniente per la collettività quella che è un’infame
speculazione privata. Certo, oggi è più semplice: basta impartire gli ordini
giusti al direttore di un telegiornale, o al conduttore di un talk-show… (D'accordo:
non tutti sarebbero disponibili, ci mancherebbe!). Oppure pensate alla totale
mancanza di scrupoli di certi politici, allo stomachevole servilismo di altri…
Pensate a qualche ministro. O ministra! Ma la classe politica, si obietta, la
fanno gli elettori. E infatti… Guardate gli elettori rappresentati dal
Chiarelli: volubili, irrazionali, schiavi di umori ed emozioni momentanei, docile
preda di chiunque sappia ingannarli… A parte le donne, all’epoca escluse dal
suffragio!
Insomma, la situazione derisa nella commedia sembra
trovare precisi riscontri nell’Italia attuale, con il conseguente fenomeno
della disaffezione, del disgusto, della rabbia anche, nei confronti del mondo
politico: la cosiddetta antipolitica.
Già, l’antipolitica. Ognuno legga e giudichi secondo i
propri sentimenti. A rischio dell'abusata accusa di morsalismo, non voglio però tacere una mia opinione.
Di fronte a certi spettacoli (di realtà, non di palcoscenico!), gli onesti si sentono
spesso impotenti, e sono tentati di assumere l’atteggiamento beffardo di Raul.
Questo può dare una momentanea, amara soddisfazione, ma non risolve nessun
problema. Meglio impegnarsi, fare la propria parte. So che è banale dire che i
politici sono lo specchio dei loro elettori. E so che non è neanche del tutto
vero. Gli elettori sono spesso condizionati dai potentissimi mezzi di
disinformazione nelle mani dei manipolatori, dei ladri di democrazia. E
tuttavia sta a ciascuno di noi informarsi come meglio può, e dare il proprio
sostegno ai Roberto Felci, piuttosto che ai Selmi e ai Désiré. E se, per la
‘tristizia’ dei tempi, non riusciremo a incidere nella realtà, avremo almeno
l’orgoglio di averci provato. Avremo conservata integra la nostra dignità.
Chiarelli tra Fregoli e Gandusio |