lunedì, febbraio 01, 2021

R. SCRUTON: UNA COSA CHIAMATA CIVILTÀ traduzione dell'ultimo discorso

 

Sir Roger Scruton
 

Circa un anno fa (il 12 gennaio 2020) moriva Sir Roger Scruton, filosofo e poligrafo insigne, o – come vorrei definirlo – Veritatis Scrutator, appassionato ricercatore della Verità. Di lui mi sono già occupato in un paio di occasioni (v. spegnere la musica e Gramsci). Qui vorrei onorarne la memoria pubblicando la traduzione del suo ultimo discorso, tenuto in occasione del premio “Difensore della civiltà occidentale” a lui conferito dall’ISI (Intercollegiate Studies Institute, Wilmington, DE).

Pronunciato quando già gli era stato diagnosticato il cancro che circa tre mesi dopo doveva portarlo alla morte, questo discorso si presenta come un estremo atto di fede nel valore imperituro della civiltà occidentale; l’autentico testamento spirituale di chi alla difesa e all’incremento di questa nostra civiltà aveva dedicato gran parte dei suoi studi (v., per esempio, ripudio cultura occidentale). Ed è, in sostanza, un richiamo al dovere – e al concreto interesse! – di difenderla, e di ritasmetterla ai posteri arricchita. Dovere incombente, con distinti ruoli, tanto sui giovani che sugli intellettuali della generazione degli anziani. Vale dunque la pena rileggerlo, rifletterci, e magari discuterlo. 

Il titolo con cui è stato divulgato – A thing called civilization (“Una cosa chiamata civiltà”) è tratto dalle ultime parole del testo, e ne sintetizza il senso: la tanto vilipesa “civiltà occidentale” non è una cultura gretta e meschina, peculiare di una ristretta parte della popolazione globale, arrogante e settaria.  È, invece, la civiltà più aperta e inclusiva mai registrata nella storia dell’uomo, e, in questo senso, sinonimo di civiltà in generale. Gli attacchi concentrici sferrati contro di essa – spesso proprio dal suo interno – sono in generale pretestuosi, sovente dettati da atteggiamento fazioso, disorientamento e ignoranza. Gli attacchi sono massicci e violenti, ma la situazione non è disperata. Basta che ognuno ne prenda coscienza e svolga la propria parte. Ma, meglio di me, saprà dirvelo Sir Roger.

Prima, però, consentitemi di rilevare, in questo suo ultimo intervento (più che di un ‘discorso’ si tratta di una bonaria conversazione, tenuta da un angolino del suo studio stipato di libri) un’impressione di stanchezza o, più esattamente, un velo di mestizia, un venir meno del brio e dell’arguzia che in genere illuminavano i suoi interventi in pubblico. Sì, certo, può aver contribuito a questo la consapevolezza di essere ormai al termine, alla meta del cammino che Dio, o la Natura, gli aveva assegnato. Ma io credo che, in parte forse prevalente, sia dovuto alla delusione, all’amarezza per la nequizia umana. Nequizia testimoniata, per esempio, dal tweet di quel giovane giornalista rampante che vi si immortala nell’atto di attaccarsi avidamente alla bottiglia per festeggiare le dimissioni di Scruton da consigliere governativo per l’architettura; dimissioni provocate dalle calunniose insinuazioni da lui riversate nel resoconto di una intervista generosamente concessagli dal filosofo che pur non ne ignorava la non amica posizione politica. E ribadita dalla pronta vigliaccheria di quegli esponenti del Partito Conservatore che, per timore di perdere qualche voto, si precipitarono a sollecitarne le dimissioni dall’incarico. (Che, peraltro, Scruton disimpegnava a titolo interamente gratuito, pago di contribuire a vedere preservata e incrementata la bellezza del paesaggio e delle città inglesi).

Ma lasciamo da parte queste meschinerie, e le tardive scuse, e ascoltiamo le sue parole, dettate, ancora una volta, dal suo amore per la verità, la cultura e l’umanità in generale.   

 

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Una cosa chiamata civiltà


Scruton pronuncia il suo ultimo discorso
Sir Roger in un fotogramma del video del suo ultimo discorso 

È un grande onore essere nominato Difensore della civiltà occidentale per il 2019 da parte dell’ISI, un’organizzazione a cui sono legato da molto tempo e il cui lavoro appare sempre più importante, e sempre più necessario, non soltanto per i giovani, ma anche per noi, la generazione degli anziani, impegnati a trasmettere le cose che conosciamo.

La civiltà occidentale è oggi oggetto di innumerevoli attacchi perché è occidentale. Nel mondo attuale la parola occidentale è stata assunta come tipico termine di insulto da tante persone, e in particolare da persone che non hanno la più pallida idea di ciò che significa sul piano storico, metafisico o poetico. La nostra civiltà occidentale non è una qualche peculiare, gretta, meschina ossessione di gente che casualmente si è trovata a vivere in una determinata parte del mondo.  È un’eredità, in continua espansione, che costantemente include nuove cose.  È  qualcosa che ci ha dato la conoscenza del cuore umano, che ci ha messi in condizione di produrre non solo straordinarie economie e straordinari modi di vivere nel mondo, che ci appartengono, ma anche le grandi opere d’arte, le religioni, i sistemi giuridici e politici e tutte le altre cose che di fatto ci permettono di riconoscere che in questo mondo noi viviamo, nei limiti del possibile, con successo.   

Che cos’è una civiltà?

Lasciamo da parte l’idea di civiltà occidentale. Dopo tutto, se si tratta di Occidente o di Oriente dipende dal modo in cui state girando intorno al globo. Considerate, invece, l’idea di civiltà. Che cos’è? Che cos’è una civiltà? Certamente è un modo di rapportarsi tra le persone, non soltanto un modo in cui le persone intendono le loro lingue, i loro costumi, i modi del loro comportamento, ma anche il modo in cui si rapportano gli uni con gli altri, gli occhi negli occhi, faccia a faccia, nella vita quotidiana da loro condivisa.

Tutto ciò è qualcosa che ha dimensioni ordinarie sul luogo di lavoro e nella comunità, nel nostro vivere giorno per giorno. Ma vi è anche, costruita sopra tutto questo, una cultura alta, opere d’arte, letteratura, musica, architettura, e così via. Questi sono i nostri modi di cambiare il mondo così da potercisi sentire più a nostro agio.

Io sono convinto che il tratto distintivo della civiltà occidentale sta proprio nel fatto che essa è una civiltà ampia e aperta, in grado di offrirci sempre nuovi modi di sentirci a nostro agio, modalità di relazioni reciproche che portano pace e interesse come vincoli primari con i nostri vicini. 

Grettezza mentale

Ora, io stesso, a forza di difendere la civiltà occidentale, mi son infilato ovviamente in un terribile mare di guai. Sembra una strana caratteristica dei nostri tempi il fatto che più uno si mostra disposto a difenderla, più è guardato come una specie di fanatico affetto da grettezza mentale. Ma ad aver mente gretta e meschina sono proprio le persone che muovono questa accusa. Sono persone, queste, incapaci di vedere esattamente quanto larga e inglobante sia stata – ed è ancora – la nostra civiltà.

Noi siamo stati educati sulla Bibbia ebraica, per esempio, un antico documento che perpetua la civiltà del Medio Oriente preclassico. Ci dà un’idea di come sia la gente che vive in comunità tribali, vagando per luoghi deserti, e così via.

Siamo venuti a conoscere e abbiamo studiato i grandi poemi epici di Roma e di Grecia, che ci hanno insegnato lingue diverse, lingue morte, ma lingue che facevano vedere il mondo in una luce diversa rispetto alle nostre lingue attuali.

Siamo stati educati sulla letteratura medioevale, in buona parte influenzata dalla letteratura araba, naturalmente. Anzi, eravamo messi a letto e fatti addormentare con appropriati racconti tratti dalle Mille e una notte.

Più vi addentrate lo sguardo, e tanto più la nostra civiltà vi apparirà ampia ed universale. E questo è un aspetto che oggi si tende spesso a dimenticare. Non è un làscito angusto.  È qualcosa che è realmente aperto a ogni specie d’innovazione, che accoglie come proprio oggetto l’essere umano nella sua interezza.

Di certo è questo il modo in cui io l’ho sempre guardata. Mi sono sempre rallegrato di essere un insegnante di materie umanistiche, perché riconosco che essa è incentrata sugli studi umanistici. Essa è interessata al modo di essere umani e a tutte le molteplici declinazioni in cui questo modo di essere si presenta aperto e diversificato nel mondo in cui attualmente viviamo.

Settario chi?

Qualunque cosa facciamo, siamo costretti a reagire a questa accusa, che la nostra civiltà sarebbe in qualche modo gretta, dogmatica, settaria ed esclusiva. Non è così. Confrontatela… con che cosa, in fin dei conti? Vogliamo confrontarla con quella cinese? Siamo gretti, settari, ed esclusivi quando siamo messi a confronto con la grande tradizione confuciana? No di certo. Nella mia formazione, come in quella di molti altri, ha avuto parte l’interesse per la civiltà cinese. Abbiamo letto le Odi confuciane nella traduzione di Ezra Pound. Tutti noi ci siamo innamorati del Lied von der Erde di Mahler, una delle più grandi composizioni musicali di tutta la musica su testo poetico cinese, certamente più grande di qualunque cosa io possa aver ascoltato in musica cinese. E rieccoci! Ecco qui un’osservazione settaria.

Riconosciamo, invece, che non si tratta affatto di fanatismo settario.  È  invece una prova del carattere aperto e generoso della nostra cultura il fatto che un compositore come Mahler abbia potuto proiettare le sue romantiche emozioni viennesi in direzione di queste desolate poesie che egli ha rivestito di una musica così bella. Lasciandoci, al termine dell’ultima di esse, con quell’incredibile accordo che, come ha scritto Benjamin Britten, resta impresso nell’aria.

Perché ora siamo costretti a una posizione difensiva quando, per chiunque abbia una qualche nozione di essa, è evidente che ciò che chiamiamo civiltà occidentale altro non è che un altro modo di designare la civiltà in quanto tale, e tutte le conquiste di civiltà che i giovani devono conoscere e, se possibile, far proprie. Il problema, a mio parere, trae largamente origine dall’invasione del mondo accademico e intellettuale da parte di gruppi di attivisti che non si dànno pena di studiare quanto basta per conoscere sufficientemente ciò a cui intendono opporsi, e tuttavia definiscono la loro posizione in termini di programmi politici. Tali programmi politici riguardano tutti la comune appartenenza a un gruppo “della salvezza”: noi ci salviamo perché crediamo le cose giuste, e diamo la caccia, in ogni angolo, a quelle entità malefiche che tentano di escluderci dal possesso della nostra legittima eredità.

E tutte le nuove bandiere sono scelte su questo terreno. Sono bandiere di soggetti che hanno bisogno di convincersi che l’ordine esistente li esclude e che pertanto è loro diritto rovesciare quest’ordine per assegnare a se stessi un posto al vertice di esso. Trovandosi al vertice, essi lo riorganizzeranno in modo da purificarlo da tutti quegli influssi vecchi e corruttori che finora hanno avuto troppo peso.

Io sono convinto che questa intrusione di attivismo politico dentro le università, e dentro gli studi umanistici e dentro tutti i canali di trasmissione della civiltà è uno dei grandi disastri del nostro tempo.

Ma non era inevitabile che accadesse. Non dobbiamo dare ascolto a questi soggetti. Non dobbiamo lasciarci coinvolgere in processi politici, lettere di denuncia, o nelle situazioni in cui alcune persone sono state sottoposte a caccia alle streghe e allontanate dalla comunità. Se questi attivisti hanno successo è solo perché vi partecipiamo. Non dobbiamo prendervi parte. È del tutto possibile tenersi indietro, e persino ridere di certe cose che vengono dette.

Guardate a tutta la frenesia intorno all’attivismo transgender e simili: molto di tutto questo non è altro che confusione, confusione da cui la gente vuole essere salvata. Molta della rabbia di queste persone  è una specie di appello a esser salvate. Restate calmi e dite: Ci sono altri modi di vedere, diversi dai vostri. Su questo punto potete avere ragione, ma non è l’unico punto. Mettiamoci al lavoro e ragioniamone. Vediamo questo punto nel contesto dell’intera civiltà e dove ci porta.

Fare così basterebbe ad allentare una gran parte della tensione che ci sta affliggendo. 

Tempo di coraggio

Ed io sento che ora è il momento, tramite istituzioni come l’ISI in particolare, di ridare coraggio e convinzione ai giovani  che sanno che c’è qualcosa di sbagliato in questa attivistica caccia alle streghe a danno del vecchio curriculum. Per le persone come me e gli insegnanti della vecchia generazione, è venuto il momento – io credo – di dare coraggio ai giovani, di dire: Guardate, voi avete una civiltà, un’eredità che vi aiuta a comprendere queste cose. Cedendo a un attivismo di questa specie, un attivismo che esclude interi campi della conoscenza umana, non fate certo un favore a voi stessi. Questo non vi dà le cose di cui avete veramente bisogno nel mondo in cui vi apprestate ad  avanzare.

Ciò che dovete fare è impegnarvi nel dialogo, che è ciò in cui la civiltà si riassume. Cercate di comprendere la condizione umana in tutta la sua complessità. E quando la gente tenta di radicalizzare e politicizzare il curriculum e ciò che viene insegnato ed è oggetto di pensiero  nelle università, non è affatto detto che voi vi dobbiate adeguare. Potete addirittura ridere di loro. Ridere delle persone è certamente ancora legalmente permesso nel nostro Paese e nella nostra cultura. In fin dei conti, l’umorismo è uno dei grandi doni della civiltà. E voi, credo, siete ben in grado di praticarlo.

Così il mio messaggio conclusivo è che non dovremmo disperare della civiltà occidentale. Basta stare bene attenti a rendersi conto che non stiamo parlando di qualcosa di  gretto, meschino, chiamato Occidente. Stiamo parlando di una cosa aperta, generosa e creativa, chiamata civiltà.             
 

chiesetta di campagna

Riconoscimenti:

  1.  Ringrazio Lady Scruton per il suo cortese permesso di tradurre e pubblicare l’ultimo discorso di Sir Roger.
  2.  Testo e video del discorso sono reperibili sul sito dell’ISI (Intercollegiate Studies Institute, Wilmington, DE).    
  3.   L’ultima immagine è un ritaglio della copertina di Thoughts from a Life – Roger Scruton Foundation.