mercoledì, luglio 03, 2019

Humanitas 3 - L’opposizione democratica e catoniana




ruderi di acquedotto romano
Inferiori ai Greci sul piano estetico
i Romani li superarono sul piano pratico-ingegneristico
come nella costruzione di imponenti acquedotti

La penetrazione della cultura e della mentalità greca a Roma (Humanitas 2) incontrò – si è già accennato – una tenace opposizione, sia sul piano delle idee che su quello giuridico.

Di seguito esamineremo le ragioni sociali, ideali e politiche che, largamente diffuse, avevano trovato un interprete particolarmente severo in Catone. Prima, però, accenneremo a qualche episodio di ricorso a strumenti giuridici come estrema risorsa per arginare quella propagazione che, benché lenta e limitata agli ambienti controllati da poche famiglie aristocratiche, appariva, agli occhi dei tradizionalisti, singolarmente insidiosa e foriera di pericoli futuri.
Anche in quei tempi, infatti, come spesso accade, dove non bastavano le proteste verbali, i mugugni, i moniti allarmistici, i tradizionalisti ricorrevano all’autorità dello Stato. A più riprese furono banditi da Roma filosofi e retori greci: nel 173, nel 161, e, infine, nel 155 a.C.


1. L’opposizione sul piano giuridico

In quell’anno erano giunti a Roma – ambasciatori di Atene per trattare il condono di una multa – tre filosofi, tra cui l’accademico Carneade (sì, quello che confonde le idee al povero don Abbondio: “Carneade! Chi era costui?”). Durante la loro permanenza a Roma i tre non seppero rinunciare a tenere pubbliche conferenze su problematiche filosofiche.
I giovani romani, stupiti ed eccitati da discorsi per loro assolutamente nuovi, accorrevano in massa ad ascoltatore quei personaggi esotici dotati di parlantina brillante e logica tagliente. Ma, tra gli ascoltatori più attenti, non c’erano solo giovani entusiasti. C’era anche chi – come Catone, sospettoso di ogni novità – era lì per verificare che non si facessero discorsi “politicamente scorretti”. 
Se ne facevano, infatti. Carneade un giorno sostenne che la giustizia è una virtù insita nella natura umana, e dunque universalmente valida. Discorso corretto: nessuna obiezione da parte di Catone. Sennonché, il giorno successivo, lo stesso filosofo sostenne, in modo non meno convincente, la relatività della nozione di giustizia. Del resto – aggiungeva quel diabolico greco – se la giustizia fosse un concetto obiettivo e universalmente valido, voi Romani dovreste restituire tutto quello che avete tolto a una miriade di popoli, e tornare a vivere nelle miserabili capanne dei tempi di Romolo!
Superfluo dire che, il giorno dopo, i tre filosofi ricevettero l’ingiunzione di sgombero immediato.



2. Catone il Censore, leader dell’opposizione

tratto della Via Appia

… o nella costruzione di strade.
Qui un solitario tratto della Via Appia
che da Roma giungeva a Brindisi


Catone il Censore… Sempre pronto a ricorrere alle leggi per la difesa della tradizione, egli era riconosciuto leader, campione d’intransigenza, anche nel campo dell’opposizione sul piano delle idee. Ricordate l’atteggiamento di L. Emilio Paolo, il vincitore di Pidna, sul problema dell’educazione? (Humanitas 2) Catone nutriva, circa quelle idee, cordiale disprezzo. Anche lui vuole garantire al proprio figlio Marco un’educazione di prim’ordine. Ma nessun greco dovrà vantarsi d’essere stato l’educatore del figlio di un cittadino romano come Catone! S’improvvisa maestro e provvede personalmente. Anzi, per proteggere il suo ragazzo dal pericoloso influsso dei testi di lettura correnti, non sempre “politicamente corretti”, scrive lui stesso un trattatello di storia romana per ragazzi, in caratteri grandi, su cui il giovane Marco dovrà apprendere contemporaneamente la lettura e la storia. E poiché riconosce che ormai la conoscenza del greco era divenuta indispensabile ad ogni persona colta, lo studia lui stesso per poterlo a sua volta insegnare personalmente a quel povero ragazzo.
Il rifiuto del ricorso a maestri greci, del resto, per lui non è solo questione di dignità. La sua antipatia per i Greci e la loro cultura (che egli, peraltro, conosceva discretamente) giunge a manifestazioni di paranoia.  È seriamente convinto che i Greci abbiano la segreta intenzione di distruggere i Romani!

un tratto della via flaminia in vista del soratte
Un tratto della Via Flaminia
in vista del Soratte (a destra il tracciato moderno).
La Flaminia congiungeva Roma all’Adriatico

3. Le ragioni vere dell’opposizione alla penetrazione della cultura ellenica


a) ragioni sociali

Bisogna dire, anzitutto, che il conflitto culturale s’innesta sul contrasto politico e con esso si intreccia. Le famiglie aperte all’ellenizzazione – gli Emili, gli Scipioni ecc. – erano grandi famiglie aristocratiche, con tendenze sempre più chiaramente oligarchiche. Erano loro i più convinti fautori dell’espansionismo imperialistico; sostenuto, peraltro, entusiasticamente dal ceto mercantile e dai publicani, incaricati, questi ultimi, della riscossione dei tributi. Intorno a Catone, principale esponente del cosiddetto partito democratico, si riunivano invece i piccoli e medi proprietari terrieri, gravemente danneggiati dalla concorrenza delle merci importate e del lavoro servile, e in non pochi casi rovinati economicamente dalle lunghe permanenze alle armi in luoghi lontanissimi dai loro poderi, inselvatichiti per l’abbandono.
Erano state proprio le condizioni di questi onesti contadini finiti in miseria a impietosire due aristocratici di animo nobile, i famosi “gioielli” di Cornelia (Humanitas 1), Tiberio Gracco prima, e suo fratello Gaio dopo; cugini, par parte di madre, di Scipione Emiliano (che, oltretutto, aveva sposato la loro sorella, Sempronia, il terzo “gioiello” della sventurata figlia dell’Africano). Tiberio, colpevole del tentativo di varare una riforma agraria, fu ucciso dall’altro suo cugino, Scipione Nasica (133 a.C.). Il tentativo fu rinnovato da Gaio – nonostante le lacrime e gli accorati appelli della madre – circa un decennio dopo. E finì anche lui massacrato, benché avesse preparato le cose in maniera molto più accorta del fratello maggiore, inserendo la proposta in un contesto di riforme piuttosto vasto e  prevedendo anche la possibilità di reazioni violente.

b) ragioni ideali

C’era, anzitutto, una sorta di patriottismo nazionalistico, l’antipatia per usi e costumi di popolazioni straniere, tanto più che esse erano ritenute inferiori dall’orgoglioso contadino romano ‘conquistatore’. C’era, ancora, l’attaccamento alla tradizione e il sospetto verso le novità, tipico della ristretta mentalità contadina e dei Romani in particolare (si pensi ad espressioni come la frequentissima rebus novis studere (letteralmente: “aspirare a cose nuove”), usata sempre con connotazione fortemente negativa, nel senso di “aspirare a rivolgimenti politici”!). Le persone come Catone non concepivano i cambiamenti in meglio, il progresso. Per loro ogni cambiamento era automaticamente un peggioramento, una ‘corruzione’. Le novità provenienti dalla Grecia e dall’Oriente appaiono loro come novità corruttrici del mos maiorum, dei costumi del buon tempo antico, di quei modi di vita che, a loro avviso, avevano consentito l’irresistibile ascesa di Roma, così come i costumi ‘depravati’ che si volevano imitare avevano favorito la rovina dei popoli orientali.

Bisogna riconoscere, del resto, che l’atteggiamento dei tradizionalisti non era dettato da pura miopia. Premesso che i ‘Greci’ di cui si parla sono quelli del II sec. a.C., molto spesso provenienti non dalla Grecia propriamente detta ma dall’Oriente ellenizzato, e non di rado effettivamente corrotto, è facile immaginare che non tutti i Greci che circolavano a Roma avessero la statura morale di un Polibio o di un Panezio (per non parlare dei grandi classici di epoche anteriori!). Né, d’altra parte, si può pensare che tutti i Romani ‘grecizzanti’ avessero la statura morale di uno Scipione Emiliano o di un Lelio. “Molti che tornavano dai paesi forestieri – osserva giustamente Rostagni  – portavano a casa, della cultura greca, non certo la parte migliore. Gli eccessi si traducevano, più che altro, in forme di vita lussuosa, oziosa, corrotta”. Plauto, infatti, conia il verbo pergraecari (letteralm. “vivere alla greca”) per designare un modo di vita dissoluto, privo di inibizioni morali. E possiamo, probabilmente, attribuire a Plauto stesso la costernazione di un suo personaggio del Trinummus, Filtone, amareggiato dalla diffusione di mentalità e modi di vita orientali e, forse ancor più, dal tentativo di armonizzarli col tradizionale mos maiorum, un tentativo riuscito ad alto livello nell’ambito del Circolo degli Scipioni, ma che l’onesto personaggio plautino interpreta come una ipocrita quanto mostruosa mescolanza, destinata a creare confusione nella mente dei giovani, deleteria per il costume del buon tempo antico.
  
arco di augusto, all'altro capo della Via Flaminia
L’arrivo della Flaminia all’Adriatico
era segnato dall’Arco di Augusto (a Rimini).
L’arco trionfale era un’altra specialità dei Romani.
c) ragioni politiche: difesa della democrazia


C’era ancora un altro aspetto, nella mentalità importata dall’Oriente, che non lasciava dormire sonni tranquilli a Catone e ai suoi seguaci. L’attenzione per l’individuo e per le sue qualità, propria della filosofia ellenistica (cfr. in particolare Panezio), la teoria stoica dell’opportunità di un rex iustus (“re giusto”) per il bene degli uomini nell’ambito di un dominio universale, l’esempio dei sovrani ellenistici davano una base teorica alla sensazione dei grandi condottieri, a cominciare da Scipione l’Africano, vincitore di Annibale, di essere titolari di doti, e di meriti nei confronti della patria, del tutto speciali, e di aver diritto, quindi, ad una corrispondente posizione sociale, contro le regole egualitarie della democrazia e contro il costume romano per il quale l’individuo scompariva nella massa dei cittadini. Dava noia, insomma, il protagonismo, diciamo pure il ‘culto della personalità’, estraneo al mos maiorum, ed incoraggiato, invece, dal costume orientale e dalla cultura ellenizzante. Ed in questo la preoccupazione dei tradizionalisti era tutt’altro che infondata. Ennio, p. es., aveva scritto un poemetto intitolato Scipio (Scipione, s'intende l'Africano) in cui il grande condottiero era proclamato degno, lui solo, di essere assunto tra gli dei. E gli esponenti delle grandi famiglie aristocratiche non si peritavano di assumere atteggiamenti poco democratici e non facevano mistero delle loro aspirazioni oligarchiche. Solo che ormai la storia aveva preso quella piega, e Catone aveva un bel contrapporre, alle opere dei Greci e dei loro seguaci come Ennio, piene delle gesta delle grandi personalità, le sue Origines, in cui protagonista della esaltante ascesa di Roma era la massa anonima dei cittadini, ed erano taciuti persino i nomi dei magistrati, designati esclusivamente con la carica loro affidata a servizio del popolo romano. 

Un’opposizione sciocca quanto inutile? Si può, forse, opportunamente rispondere con l’equilibrato giudizio di Rostagni: 
«Vi era qualcosa di ottuso e di retrivo in questa politica catoniana. Tuttavia essa ebbe anche benèfici effetti, perché indubbiamente servì ad eliminare i lati peggiori ed eccessivi della influenza ellenizzante: cioè, richiamando al rispetto verso il mos maiorum, condusse a una forma di equilibrio e di giusta fusione del greco con il romano, che fu soprattutto felice e ricca di successo».


interno del Pantheon (incisione a rame)

Chiudiamo con uno scorcio dell’interno del Pantheon
(incisione a rame, Stanford University)
capolavoro in cui abilità tecnica, rispetto della funzione, ragioni estetiche
risultano splendidamente armonizzati