lunedì, giugno 10, 2019

Humanitas valore supremo. 1- mos maiorum

Humanitas: l’uomo come valore supremo. 1 - mos maiorum.

Cornelia esibisce i suoi gioielli, cioè i figli

All’amica vanitosa che ostenta i suoi ori, Cornelia, modello di virtù femminile,
esibisce i propri ‘gioielli’ (dipinto di P. F. Hetsch, 1758-1838)

Ragioni di un post. Anzi, di due

Non tutti se ne accorgono, perché il luccichìo dei lustrini esibiti dalla maggior parte dei mass-media mette in ombra la realtà vera: da alcuni decenni stiamo assistendo a una progressiva disumanizzazione della vita sociale. È  un fatto, e non sfugge agli spiriti più attenti e spregiudicati. E così, parallelamente, si avverte sempre più il bisogno di riproporre valori dati ormai per tramontati, destinati – secondo le vittime della mentalità corrente – ad alimentare  vuote nostalgie. Ma non è così. Certo, a volte può trattarsi di proposte discutibili, ma sono comunque spunti preziosi per la ricerca di un’alternativa al volgare appiattimento su denaro e tecnolatria. Tra spunti del genere si può annoverare, per limitarmi a un solo esempio, la recente proposta dell’economista Valerio Malvezzi, sinceramente impensierito dagli esiti disastrosi dell’attuale indirizzo economico mondiale sulle condizioni di vita delle classi sociali più indifese. Non so se il suo recente appello alla fondazione di una “economia umanistica” sia percorribile e capace di dare i frutti sperati. Certo è una proposta generosa, e l’aggettivo di matrice classica è quanto mai appropriato.
Ritengo non inutile, pertanto, dare qualche ragguaglio sul concetto di “humanitas”, al quale, attraverso la rielaborazione del cosiddetto Umanesimo, quella proposta esplicitamente si richiama. Un concetto, quello di humanitas, che racchiude  un modo di pensare, di vivere, di rapportarsi al prossimo, che mette al centro l'uomo, l'umanità, e che affonda le sue radici nella civiltà greco-romana, di cui è uno dei làsciti più preziosi.
Prima, però, mi sia consentita una premessa: una breve presentazione di una concezione, di un modo di vita più arcaico, dai Romani venerato come  mos maiorum. Conoscerlo, almeno sommariamente, è interessante non solo perché caratterizzò lo stile di vita dei Romani per secoli, ma anche perché è difficile valutare l'importanza innovativa del concetto di cui intendiamo occuparci se non si ha consapevolezza di dove si partiva e dei formidabili ostacoli che si dovettero superare. E, del resto, la tenacia di quella concezione, la sua ostinata resistenza al cambiamento finirà col lasciare traccia anche nel nuovo modo di pensare, tanto da farne qualcosa di originale, asse ereditario non dell’ellenismo, bensì di quella che più propriamente è detta, appunto, civiltà greco-romana.



particolare di plastico rappresentante roma arcaica

Il cuore di Roma arcaica (partic. del plastico del “Museo della civiltà romana” di Roma).
In alto, a destra dell’Isola Tiberina, la duplice cima del Campidoglio: a sin., il Capitolium  col tempio di Giove, (approssimativamente un po’ più a destra dell’attuale  Palazzo dei Conservatori); a destra l'Arx, la Rocca, dove ora è la chiesa di S. Maria in Aracoeli.
Più in basso: a sin., il pianoro del Colle Palatino, sede della “città quadrata” fondata da Romolo; all’estrema destra, le propaggini del Quirinale.
Il pianoro approssimativamente circolare al centro è la Velia, successivamente modificata da interventi di costruzione. Il laghetto che segue è, approssimativamente, il luogo dove oggi sorge il Colosseo. La valletta a sin. del Palatino è uno scorcio del Circo Massimo (se ne vede una delle due "mete", dal lato del Foro Boario, noto ai più per la "Bocca della Verità"!). Il colle nell’angolo sin. in basso è il Celio.

Il mos maiorum

L’espressione mos maiorum (letteralm., il costume, lo stile di vita degli antenati) designa un complesso di valori, un codice non scritto di comportamento, a cui – stando alle idealizzazioni posteriori – si ispirava lo stile di vita del perfetto civis Romanus (“cittadino romano”) del buon tempo antico. Si tratta della idealizzazione nostalgica di valori e norme di comportamento tipici di una società contadina che trova nella famiglia il nucleo costitutivo basilare, nella laboriosità e nella parsimonia la principale risorsa economica, nella compattezza interna e nel valore militare la garanzia della propria indipendenza.
Il principio che sta alla base del mos maiorum   è la totale soggezione dell’individuo allo Stato. Il civis Romanus è considerato non in quanto uomo, bensì, appunto, in quanto civis, parte di una comunità – civitas – organizzata in una struttura statuale, la res publica (“lo Stato”, ma l’espressione latina è più precisa: “la cosa pubblica”, cioè “che appartiene a tutto il popolo”). È la civitas, o meglio la res publica, la fonte dei diritti e dei doveri dell’uomo romano. Pertanto saranno doverosi tutti gli atteggiamenti e i comportamenti idonei a favorire la conservazione della res publica e a incrementarne le risorse; saranno, invece, immorali e censurabili gli atteggiamenti sospettati d’incrinare la compagine sociale e di mettere in forse la difesa dello Stato.

a) virtù pubbliche

Tra questi comportamenti virtuosi occupa il primo posto il valore militare (la fortitudo), necessario per la difesa dello Stato verso i popoli confinanti: designa il vigore fisico e morale, il coraggio e la forza d’animo. Vengono poi la pietas (il rispetto, la venerazione, l’affetto verso quanto vi è di sacro: la divinità, la patria, i genitori, i figli, i congiunti) e la fides, la ‘fiducia’, cioè la lealtà, il rispetto degli impegni assunti, fondamento della giustizia e dunque della compattezza sociale. E ancora la gravitasla “serietà”, la qualità di chi agisce con ponderazione ma con severità e fermezza nello stesso tempo, guadagnandosi, con tale comportamento, fiducia, ascendente e autorevolezza sui propri concittadini.

b) virtù private

Virtù attinenti alla vita privata erano considerate l’industria, cioè la ‘laboriosità’, con cui incrementare il patrimonio familiare, e la parsimonia, cioè la modestia del tenore di vita, la moderazione nelle spese, l’avversione per il lusso. Virtù particolarmente apprezzata anche in ambito pubblico, questa, perché il lusso non solo era considerato esibizione di ricchezza e potenza pericolosa per le istituzioni democratiche, ma soprattutto perché era ritenuto (a torto?) un incentivo ad appropriarsi beni pubblici, infrangendo così la virtù della abstinentia, il ‘disinteresse’, l’onestà’ nei confronti dei beni dello Stato.
Una sezione a parte meriterebbe il tema delle virtù femminili. Ma il discorso, che vorrebbe essere soltanto una breve premessa, finirebbe con l'assumere proporzioni spropositate. Uno spunto potete trovarlo nella prima foto: mi limito a ricordare che i ‘gioielli’ di Cornelia (appartenente alla famiglia degli Scipioni, e moglie di Sempronio Gracco) si chiamano Gaio (il minore) e Tiberio Gracco, destinati a darle, da adulti, non poche amarezze quando, dimentichi di appartenere  a due tra i clan più antichi e illustri di Roma (la gens Cornelia, e la gens Sempronia) impietositi dalla miseria dei contadini rovinati dal prolungato servizio militare lontano dai loro campi, passeranno politicamente nelle file dei plebei. Amarezze che diventeranno inconsolabile dolore quando, l’uno dopo l’altro, finiranno uccisi dalle consorterie nobiliari, lasciando lei vedova e sola.

c) figure esemplari

La tradizione aveva fissato anche alcune figure esemplari, paradigmatiche (come quella appena vista di Cornelia); alcuni modelli che incarnavano il comportamento e la norma sancita dal mos maiorum.
Cincinnato salutato dittatore dai messi del senato
Cincinnato
salutato dittatore dai messi del Senato
A. Cabanel (1823-1889), part. 
Ricordate Cincinnato? I messaggeri incaricati di comunicargli la decisione del Senato di nominarlo dittatore lo trovarono intento ad arare il suo campicello; attività alla quale ritorna appena sconfitti i nemici, lasciando spontaneamente la dittatura prima ancora della scadenza del mandato.
Pochi ricordano Manio Curio, comandante dell’esercito romano nella guerra contro i Sanniti. Gli ambasciatori di questi ultimi, inviati a corromperlo, lo trovano intento a consumare un magro pasto in una scodella di legno… Ciononostante, hanno l’ardire di offrirgli il prezzo della corruzione, suscitandone l’ira e lo sdegno, presto convertitosi in uno sprezzante sorriso: Riportate questo vostro oro a coloro che vi hanno mandati!…
E quanti, oggi, riterrebbero comprensibile la dolorosa decisione di Tito Manlio Torquato?
Stando alla tradizione, in qualità di console e capo dell’esercito nella “guerra latina” (340 a.C.) non esitò a mandare a morte un giovane ufficiale reo di disubbidienza agli ordini del comandante, per aver attaccato il nemico contravvenendo alle precise disposizioni impartite. Quel giovane, valoroso e idolo di tutti i commilitoni, evidentemente aveva pensato che non era il caso di lasciarsi sfuggire un’occasione; o forse avrà confidato di potersi prendere quella libertà perché il suo comandante era anche… suo padre. Terribile esempio di gravitas nella sua versione più severa, e nello stesso tempo di completa dedizione alla disciplina militare e agli interessi dello Stato, persino contro i pur sacri affetti familiari, la sacrosanta pietas!
Lascio a voi il giudizio su un tale gesto. Voglio solo dire che forse, a rendere meno mostruosa quella sentenza, giova riflettere che sul campo di battaglia una iniziativa scoordinata può comportare l’inutile carneficina di migliaia di uomini. Certo, le guerre sarebbe meglio non farle. Sarebbe…, appunto. C’è qualcuno che potrebbe dubitarne?


Non poteva durare

Faceva parte integrante del mos maiorum la completa fedeltà alle tradizioni patrie e l’accettazione acritica della morale e della mentalità tradizionale, la fede nella superiorità indiscutibile dello stile di vita romano. Ora, se tali atteggiamenti poterono, forse, mantenersi nei primi secoli della repubblica, in un ambiente tutto sommato provinciale, come avrebbero potuto uscire indenni dal contatto diretto con l’avanzatissima civiltà greca, diffusa ormai in tutto il bacino del Mediterraneo, rivelatasi ai loro occhi increduli con la conquista dell’Italia meridionale conclusa con la presa di  Reggio nel 270 a.C.? Lo splendore e la finezza di essa conquistano da subito gli spiriti più aperti, dando inizio a Roma a un atteggiamento di simpatia e di ammirazione per la cultura greca, che andò crescendo nonostante la fiera opposizione dei tradizionalisti più intransigenti, e che culminò nel costituirsi del cosiddetto Circolo degli Scipioni.  Ma di questo parleremo nel post successivo.


foro romano

La foto è ripresa dal Campidoglio (precisamente dalla sella tra Capitolium e Arx) e mostra il complesso archeologico denominato Foro Romano. In realtà, il Foro vero e proprio, cuore politico della Roma repubblicana, risulta nascosto dalle imponenti colonne del Tempio di Saturno. Il Foro era stato ricavato, nei primi secoli della Repubblica, dal prosciugamento della valle tra Campidoglio, Quirinale, Palatino e Velia. Potete farvene un'idea confrontando col plastico sopra riportato (ma l'orientamento è invertito!). Rispetto  al periodo arcaico, tutto è cambiato: “Ho ricevuto una Roma di mattoni e ve la lascio di marmo” soleva ripetere Augusto con qualche esagerazione. A delimitare il Foro vero e proprio vediamo: a sinistra l’arco di Settimio Severo (203 d.C.) e dietro, in mattoni, la Curia, la veneranda sede del Senato; in primo piano le colonne del Tempio di Saturno; a destra  la Via Sacra (con alcuni turisti) e quello che resta della Basilica Iulia. In fondo il Foro era delimitato dal tempio di Giulio Cesare (dove sulla foto sembra di vedere una casamatta e poi, a sin., l'imponente massa del Tempio di Antonino e Faustina). Poco oltre comincia la salita della Velia. In fondo, oltre il bel campanile di Santa Francesca Romana, s’intravvede il Colosseo. Sul lato destro, oltre la Basilica Iulia, tre colonne del  Tempio di Castore e Polluce e, a destra, muraglie, cipressi e pini del Palatino.








Nessun commento:

Posta un commento