martedì, febbraio 08, 2022

Vincentio contro Gioseffo: Baruffe fiorentin-chiozzotte


Maria Maddalena (?) suona il liuto (attribuito al fiammingo Maestro delle mezze figure femminili, I metà XVI sec.)

Galleria Sabauda di Torino

La polemica tra Galilei e Zarlino sulla musica moderna.

Nell’articolo sulla condanna di Galileo (v. qui ) ho accennato a una certa spigolosità del carattere del personaggio, riconoscendo in essa un tratto familiare. Nell’evoluzione della sua personalità  e del suo non facile carattere ebbe  particolare importanza la figura paterna, con i suoi interessi, idiosincrasie culturali, atteggiamento mentale, temperamento. Un’occhiata sul contesto familiare offre, perciò, sicuri elementi di riferimento per chi voglia farsi un’idea più comprensiva della figura culturale ed umana del grande scienziato.

 

Ma il motivo che più m’invoglia ad approfondire il discorso è un altro. Lo studio della personalità di questo “nobile fiorentino”, come amava definirsi il padre dell’inventore del metodo scientifico, ci aiuta a comprendere un momento non meno cruciale per la storia della musica moderna. Tenterò di darne un’idea rievocando una celebre polemica che contrappose Galilei-padre al suo ‘antico’ maestro, Gioseffo Zarlino, più vecchio di lui di soli tre anni.

 

I protagonisti della baruffa

 

Non è il ritratto del nostro Vincentio

 (ignoro se ne esistano)

ma di un anonimo musico suo collega dipinto da B. Passerotti

A un lato del ring Vincenzo, o più esattamente Vincentio (pronuncia ‘Vincenzio’), Galilei, nato a Santa Maria a Monte (oggi in provincia di Pisa) verso il 1520. Formatosi a Venezia sotto la guida di Zarlino, trascorse buona parte della sua vita a Firenze, dove morì nel 1591. Fu studioso di materie umanistiche, accademico della Crusca e frequentatore autorevole della cosiddetta “Camerata fiorentina”, una sorta di salotto culturale interessato soprattutto a studi letterari e musicali, che faceva capo al conte Giovanni Bardi di Vernio. Valente suonatore di liuto (tale sarà anche il figlio), fu compositore e teorico, autore dell’importante trattato Della musica antica e della moderna (1581), dove, con esasperante minuzia e sfoggio, d’erudizione esamina la musica moderna alla luce di quella antica.


 Questo invece è Zarlino

 Ma in un ritratto postumo (datato 1599, nove anni dopo la morte!)

 All’altro lato Gioseffo Zarlino, nato nel 1517, frate francescano, coltissimo in matematica oltre che in musica e materie umanistiche. Buon compositore (soprattutto mottetti e madrigali), grande teorico, pose le basi teoriche della musica moderna. Si deve a lui l’abbandono definitivo dei modi medioevali (ridotti ai soli maggiore e minore) e la teorizzazione dell’accordo ‘perfetto’. Non so se Galileo ebbe modo di conoscerlo di persona, ma – detto tra me e voi – io giurerei che nella disputa avrebbe tifato più volentieri per lo Zarlino che per il proprio padre. A parte l’analogia della posizione storica rispettivamente nell’evoluzione della scienza e in quella della musica, è facile rilevare affinità sul piano attitudinale (sguardo rivolto verso il futuro piuttosto che verso il passato) e su quello teorico. Mi limito a un solo esempio. «Dalla prima origine del mondo [] tutte le cose create da Dio furno da lui col Numero ordinate: anzi esso Numero fu il principale essemplare nella mente di esso fattore». Così leggiamo nella Parte prima della sua opera fondamentale, le Istitutioni harmoniche, pubblicata – si badi bene – nel 1558, sei anni prima della nascita dello scienziato. E ora leggiamo nel Saggiatore (1623): Il gran libro dell’Universo «è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto». So bene che qui siamo ben oltre i riferimenti a Pitagora, Platone e altri filosofi ai quali, probabilmente, andava il pensiero di Padre Gioseffo; e  tuttavia trovo ugualmente sorprendente questa quasi coincidenza di affermazioni. Ma torniamo al ring.

La baruffa

Animatore della “Camerata dei Bardi”, nel cui ambito nasce il melodramma, Vincenzio Galilei avrebbe volentieri sottoscritto lo sdegnoso motto verdiano «Torniamo all’antico, e sarà un progresso!». A muovere il suo sdegno è la ripugnanza per una musica soverchiatrice del testo poetico; ed è il disgusto per alcuni tratti indiscutibilmente puerili (in particolare l’abuso di  quegli espedienti figurativi oggi noti col nome di madrigalismi) presenti in buona parte del genere più in voga nella musica colta dell’epoca, quel madrigale polifonico che pure ci ha lasciato autentici capolavori; caro, peraltro, allo stesso Vincenzio, tanto che ne compose ben due volumi! Partendo da queste premesse, nel Dialogo della musica antica e della moderna (1581) coinvolge in una severa, e a tratti astiosa, polemica tutta la musica del suo tempo, proponendo, come efficace rimedio, il ritorno alla musica antica.

Nel carattere indubbiamente monodico della musica greca, nel suo rispetto per la parola poetica, Galilei vedeva la ragione prima della sua efficacia etica, e della capacità di suscitare emozioni profonde, testimoniata da molti autori antichi. Sennonché, della musica antica, al di là delle trattazioni teoriche – spesso interessate più all’aspetto matematico e filosofico che a quello artistico del fatto sonoro – non esistevano che pochi frusti di difficile e controversa interpretazione. Oltretutto, i tre esempi tratti da manoscritti bizantini e pubblicati proprio da lui (su segnalazione di Girolamo Mei) sono testimonianze piuttosto tardive. Risalgono al II sec. d.C. (sono oggi concordemente attribuiti a Mesomede, liberto di Adriano), cioè a più di mezzo millennio dopo la fioritura della tragedia greca a cui i ‘cameratisti’ facevano riferimento, nel loro sforzo di ricostruire e ricreare la tragedia greca accompagnata dalla musica; sforzo vano sul piano della ricostruzione storica, ma… felix peccatum, perché da esso nacque il moderno melodramma! Galilei si perde, di conseguenza, in una palude di discussioni erudite di questo o quel passo di scrittore antico, e di disquisizioni acustico-matematiche volte a dimostrare che la pratica esecutiva cinquecentesca, sia strumentale che vocale, contrariamente a quanto sosteneva Zarlino, «non è semplicemente né la Diatona né la Syntona ma una terza cosa mista e composta di questa e di quella», secondo le varie specie di strumenti (p. 31). Sarei tentato di approfondire, ma il discorso si fa veramente molto complicato e difficile, inappropriato alla natura di questo blog. Pensate – tanto per accennare un solo esempio – che nel cosiddetto “Syntono” lo spazio sonoro compreso in un’ottava era diviso in ben quindici intervalli, con distinzione tra toni maggiori e minori e analoga distinzione per i semitoni.

 

Suddivisione dell’ottava secondo il Syntono di Tolomeo (Galilei, Dialogo, p. 3)

I numeri a margine indicano il rapporto rispetto alla nota di riferimento

Prendendo come rif. il La 440, avremmo:

semitono minore ascendente = 440x25:24=458

semitono maggiore ascendente=440x16:15=469

nel sistema temperato (semitono equalizzato = radice dodicesima di 2 = 1,06) =   440x1,06 =466

 

Insomma – i più esperti lo avranno capito – l’oggetto del contendere riguardava nientemeno che il problema dell’intonazione e dell’accordatura degli strumenti, un problema che trovò una soluzione soddisfacente, al prezzo di qualche forzatura delle leggi della fisica acustica – solo un secolo dopo, con il cosiddetto “temperamento” (divisione dell’ottava in 12 semitoni uguali, pari alla radice dodicesima dell’intervallo di ottava), teorizzato da A. Werckmeister nel 1691 e magnificamente illustrato da Johan Sebastian Bach nel Clavicembalo ben temperato

Padre Gioseffo, ripetutamente citato e corretto da “questo suo buon discepolo”, non gradì,  e si affrettò a rispondere con un opuscolo di confutazione: Supplimenti musicali. Ne nacque una polemica aspra, che non di rado ai modi del dibattito scientifico sostituisce l’insulto personale (vecchio vizio, a quanto pare non facile da dismettere!) e mette a nudo il temperamento litigioso e polemico del musico fiorentino.

«Il cantare et il sonare d’hoggi non è appatto alcuno il Diatonicon Syntono di Tolomeo», bensì il «Syntono semplice»! replica perentorio il “nobile fiorentino”. E: «La lingua materna mia fiorentina la traduce in bergamasco» urla. (Veramente il buon Gioseffo era nato a Chioggia nel 1517, e dal 1541 si era trasferito Venezia. E, se è vero che la sua scrittura non è certo un modello di lingua ‘fiorentina’ purissima, non è propriamente ‘bergamasca’, cioè – secondo i pregiudizi del tempo – rozza e incomprensibile, ma tant’è…). E non basta: «mostra che l’ortografia non fusse nata a suo tempo» (insomma, proprio un semianalfabeta questo suo maestro!). E, per concludere, l’antico “buon discepolo” si dichiara «prontissimo per giovarvi et insegnarvi [!] sempre». 

 Questo angioletto (partic. da Lochner, Rosenlaube) è anche lui suonatore di liuto,

tranquillo ‘collega’ dell’irascibile fiorentino

contento d’intrattenere con la sua arte la Vergine e il Bambino

Il fatto è che il dissenso, focalizzato sul problema dell’intonazione e accordatura degli strumenti, discusso con l’occhio (l’orecchio?) rivolto alla malcerta intonazione degli antichi tetracordi greci, era, in realtà, di natura più profonda. Più propriamente la discordia nasceva dall’opposto atteggiamento verso la musica moderna, come si è già visto di sopra, e com’era, del resto, enigmaticamente alluso già nel titolo del Dialogo galileiano (“della musica antica e della moderna”!).  «La musica d’hoggi è miracolosa, et quella degli antichi era infelicissima!» aveva affermato sicuro il vecchio maestro. «La musica d’hoggi è disprezzata da gli intelligenti et apprezzata dal vulgo!» gli urlava sul muso l’irascibile “buon discepolo”.

E dire che della musica antica – concretamente intesa come pratica musicale destinata all’ascolto – non ne sapevano granché né l’uno né l’altro!



Altro partic. dal Rosenlaube di Lochner (XVI sec.)

L’angioletto a sinistra suona un organo portativo:

fa tutto lui: con la destra sfiora la tastiera, con la sinistra aziona il mantice posto sul retro.