lunedì, ottobre 19, 2020

DA GRAMSCI AL RIPUDIO DELLA CULTURA OCCIDENTALE

 

 

Scruton in mezzo ai libri e tra due pianoforti

Roger Scruton nel suo studio


Nel post precedente (v. Gramsci e deriva culturale) abbiamo visto le ragioni del successo di Gramsci e del suo appello a una rivoluzione culturale capace di sostituire la supremazia della cultura borghese con un’egemonia culturale ispirata ai sentimenti e interessi delle classi subalterne. In questo vedremo l’imprevedibile metamorfosi che l’istanza gramsciana finisce per subire nella cultura attualmente in voga nelle istituzioni culturali americane (e, di riflesso, in Europa).

La teoria gramsciana in Gran Bretagna

Esigenze di brevità mi impongono di trascurare la parte intermedia, dedicata all’analisi degli sviluppi della teoria gramsciana nel Regno Unito. Tanto più che la visione dei ‘gramsciani’ inglesi, mutata la situazione socioeconomica, appare ormai obsoleta. Tuttavia mi sembra doveroso almeno qualche cenno.

Doveroso ricordare almeno il nome di Raymond Williams, l’apostolo della democrazia partecipativa (participating democracy), e di una equality of being «senza la quale la ‘lotta per la democrazia’ non è nulla». Anche se – a detta di Scruton – «il suo contributo finale alla guerra della cultura» si risolve in «un attacco alla sua stessa disciplina, la critica letteraria, in quanto ‘ideologica’», finendo per liquidare «non solo l’intera tradizione della critica letteraria inglese, ma anche la filosofia estetica che ha le sue radici in Kant».

Né si può condannare all’oblìo il nome di Perry Anderson, che, sulla traccia di Gramsci, vede nel capitalismo una costruzione, suscettibile d’essere demolita con la demolizione della cultura capitalista. A questo scopo, Anderson apre la New Left Review agli scrittori di sinistra in voga a Parigi, e ne fa la piattaforma privilegiata per una rivoluzione culturale sua propria: cosmopolitica, sofisticata, sdegnosa di ogni establishment, anche di sinistra. Il gramsciano blocco storico viene da lui inteso come unione di intellettuali e proletari contro ‘things by law established’, contro tutto ciò che è consacrato dalla legge. Con l’andare del tempo, tuttavia, Anderson si vide costretto a rinunciare a parecchie illusioni (Parigi, precedentemente idolatrata, fu bollata come ‘capitale della reazione’; strutturalismo e post-strutturalismo furono rifiutati…). Ma non rinunciò mai all’illusione del gramsciano blocco storico, all’idea che la mitica classe operaia fosse per sua natura disposta alla rivoluzione e ad affidarsi alla guida degli intellettuali. Negli ultimi anni, peraltro, Anderson si è rivelato «un sobrio, melanconico e acuto critico dei nostri tempi. Nella London Review of Books e in altri scritti ha pubblicato un cauto e ampio commento su un mondo in cui il neoliberalismo ha sostituito il capitalismo come pervasiva corruzione». E questo ci porta dritti dritti allo stato attuale, in particolare negli USA.

La demolizione dei principi fondanti della cultura occidentale

Nel corso degli anni ’70, dileguatasi in Europa la mitica classe operaia, la guerra culturale si trasferì negli Stati Uniti, dove una classe operaia rivoluzionaria non era mai esistita. Il blocco storico gramsciano qui non aveva senso. «La cultura rimase il principale campo di battaglia tra la sinistra e il circostante ordine ‘capitalista’; ma la battaglia era combattuta da gente che la vedeva in termini esclusivamente culturali, senza alcun riferimento al partner proletario. Perciò i guerrieri culturali americani non rifiutarono […] le alternative strutturaliste e post-strutturaliste costruite a Parigi, ma le abbracciarono come la chiave per riformare l’intero curriculum», visto come espressione della esecrata civiltà ‘borghese’.

In realtà – dice Scruton – la tradizionale alta cultura americana non era stata una creazione borghese, ma piuttosto una creatura dell’Illuminismo. «L’Illuminismo comportava la celebrazione di valori universali e una natura umana comune a tutti gli uomini. L’arte dell’Illuminismo spaziava in altre regioni, in altri tempi e culture, in un eroico tentativo di dare fondamento razionale a una visione dell’uomo come libero e creatura di se stesso». Alla base del vecchio curriculum c’era appunto questa visione. E fu proprio questa base ad essere attaccata per prima dall’Università americana postmoderna.

 

Attacco concentrico

Nel corso degli anni sono emerse due correnti, diverse nell’ispirazione e negli obiettivi particolari, ma concordi in un attacco senza quartiere alla cultura occidentale e alle sue premesse. La prima ha il suo alfiere in Richard Rorty, la seconda in Edward Said.

a)    Richard Rorty

Richard Rorty

Autodefinitosi ‘pragmatista’, Rorty si fa promotore di un nuovo concetto di Verità. Verità è «ciò che, per noi, è bene credere». Il problema non è la ricerca di una verità razionale, obiettiva, al di là delle singole culture e credenze. Il problema è diffondere la nostra verità tra quante più persone possibile. Creare, attorno alla ‘verità’ a noi conveniente, il consenso più largo possibile. Decidere che cosa dobbiamo (vogliamo) pensare, e proteggerci contro chiunque la pensi diversamente. Ma – vi chiederete – nostra di chi? Il noi di Rorty e seguaci – spiega Scruton – significa «femministe, liberals, avvocati delle cause radicali odierne e del curriculum aperto». E inoltre: atei e tutti coloro per i quali «le vecchie idee di autorità, ordine, autodisciplina non hanno alcuna importanza».

b)    Edward Said e il ‘razzismo colonialista’ degli orientalisti

Nel suo libro Orientalism (1978), Edward Said, studioso statunitense di origine palestinese, accusa apertamente gli orientalisti occidentali di «atteggiamento denigratorio e paternalistico verso le civiltà orientali». Gli studiosi occidentali presenterebbero l’Oriente come «un mondo di scialba indolenza e di fumosa ubriachezza, senza l’energia e l’operosità sacralizzate nei valori occidentali».

A sostegno della sua tesi, Said allega una serie di citazioni rigidamente selezionate e accomodate al suo assunto, dimenticando tutto il resto. Dimentica, per esempio, Galland e la sua traduzione delle Mille e una notte (1717), Goethe e il suo West-Oestlicher Diwan, Fitzgerald e il suo Rubaiyat of Omar Khayyam… Dimentica, soprattutto, che «nel XVIII sec., quando ‘Abd al-Wahhab fondava nella penisola arabica la sua particolarmente odiosa forma di Islam, bruciando libri e tagliando le teste che non erano d’accordo con lui, Sir William Jones andava raccogliendo e traducendo tutto quello che riusciva a trovare della poesia araba e persiana».

 

Edward Said

La verità è – sostiene il filosofo inglese – che la nostra cultura «fa appello a una storica comunanza di sentimento, mentre celebra valori umani universali. È radicata nell’esperienza cristiana, ma da quella sorgente trae una ricchezza di umana simpatia che distende imparzialmente [persino] su mondi immaginari». La nostra cultura più recente, peraltro, affonda le sue radici nell’Illuminismo. Gli esponenti di quel movimento cercarono bensì di far piazza pulita delle credenze religiose, ma non dubitarono mai della comune natura del genere umano e dell’esistenza di valori comuni a tutta l’umanità, e comunque di verità obiettive. Il loro sforzo e le loro dispute erano appunto diretti a individuare con esattezza questi valori comuni e queste verità obiettive.

Tutto questo è messo in discussione, anzi rovesciato da Rorty e da Said, l’uno e l’altro immersi in un relativismo senza scampo. Per il primo tutto è vero e niente è vero secondo la convenienza; per il secondo tutte le culture si equivalgono. Scruton rileva il paradosso per cui questo relativismo, che dovrebbe dunque includere qualunque opinione, si rivela, in realtà, rigorosamente censorio. Tutte le opinioni che non si allineano a Rorty e ai gruppi a lui omogenei e da lui ispirati, sono in errore, e vanno combattuti con ogni mezzo, a cominciare dall’esclusione dal mondo della cultura (o accademico). Said rimprovera come peccato mortale alla civiltà occidentale di avere giudicato la cultura orientale secondo parametri occidentali e poi pretende che il parametro giusto sia quello delle culture orientali…

L’esito: disorientamento culturale generalizzato

«L’inevitabile conclusione è che la soggettività, la relatività e l’irrazionalismo sono invocati non per ammettere tutte le opinioni, ma precisamente per escludere le opinioni di chi crede nelle vecchie autorità e in verità obiettive. Questa è la scorciatoia alla gramsciana nuova egemonia culturale: non giustificare la nuova cultura contro la vecchia, ma dimostrare che non c’è fondamento né per l’una né per l’altra, così che non resta più nulla all’infuori dell’impegno politico».

I ‘metodi’ relativistici, introdotti da Foucault, Derrida e Rorty servono appunto come espedienti politici per combattere la parte politica avversa. L’attacco dei decostruzionisti al significato è rivolto non contro i significati interni al gruppo (“radicali, ugualitari e trasgressivi”), bensì contro i significati di quegli altri, elaborati e trasmessi da una tradizione culturale plurisecolare.

Le idee di studiosi come Rorty e Said hanno generato un comprensibile disorientamento generale, soprattutto nei giovani. I docenti convinti di poter dire «qualcosa di permanentemente e universalmente vero sulla condizione umana – trovano sempre più difficile suscitare l’interesse di studenti per i quali la contrattazione ha sostituito l’argomentazione razionale». Da questa condizione di disorientato scetticismo lo studente esce, talvolta, con un autentico atto di fede in un relativismo inconcludente. Il loro mondo, questo mondo postmoderno in cui «nulla è obiettivamente giusto o sbagliato», appare ridotto a «un campo di gioco, dove ognuno ha ugualmente diritto alla propria cultura, al proprio stile di vita e alle proprie opinioni». Purché, beninteso, siano opinioni coerenti con quelle premesse! Ché, «quando tutto è permesso, è essenziale proibire di proibire».

 

scritta murale "proibito proibire"

Parigi, maggio 1968: lo slogan “proibito proibire”


In buona sostanza, «le credenze relativiste esistono perché danno fondamento a una comunità – la nuova ummah degli sradicati. Di conseguenza, in Rorty e Said troviamo una condivisa duplicità d’intento: da un lato, minare ogni rivendicazione di verità assoluta, e, dall’altro, mantenere le ortodossie sulle quali si fonda la comunità dei fedeli. Proprio il ragionamento impegnato a distruggere le idee di verità oggettiva e di valore assoluto impone la correttezza politica come assolutamente vincolante, e il relativismo culturale come obiettivamente vero. La rivoluzione culturale gramsciana, trasferita nel mondo accademico americano e nella New York Review of Books, si mutò in un tarlo corrosivo dentro la cultura, in un istinto di rigetto, ma nulla ha prodotto in sostituzione delle cose distrutte se non uno squallido relativismo. La conclusione finale delle guerre culturali fu che la vecchia cultura non significa nulla, ma solo perché non c’è nulla da significare» [sottolineature mie].

Parigi, maggio 1968: vandalismo

Parigi, maggio 1968: vandalismo

Scruton era a Parigi per ragioni di studio

Fu lì che, davanti a vandalismi e battaglie tra studenti (borghesi) e poliziotti (proletari veri), maturò la sua scelta politica definitiva


 
 

Una modesta annotazione

Con questa desolata conclusione si chiude questo ampio capitolo (vorrei dire saggio) dedicato alla teoria gramsciana e ai suoi sviluppi. Ed è una parte talmente densa e appassionata che mi sarà perdonato – spero – il ricorso forse troppo frequente a citazioni testuali. E, già che ci siamo, mi perdonerete, anche, di chiudere con una mia modesta annotazione.

Il paradosso – o, meglio, le contraddizioni – di Rorty, Said e seguaci mi ricordano l’osservazione del vecchio Aristotele: chi nega i principi della metafisica (obiettività, non-contraddizione ecc.) è, ipso facto, condannato a riaffermarli: se dici che nulla è obiettivo stai affermando che almeno una cosa è obiettiva!

Ma qui il fatto è un po’ diverso. Sir Roger lo comprende benissimo (ci mancherebbe!) ma, forse distratto dalla sua veemente difesa della nostra cultura, non vi insiste con sufficiente energia.

Rorty dice chiaramente che cos’è per lui la verità: Verità è “what is good for us to believe”, “ciò che, per noi, è bene [= utile!] credere”. A questo punto la discussione è finita. Rorty e Scruton stanno duellando su piani diversi. Lo scrittore inglese è alla faticosa, onesta ricerca della Verità; Rorty è alla ricerca dell’Utile. L’uno combatte nel campo filosofico, l’altro nel campo della politica, o – più brutalmente – in quello commerciale. Per Rorty la discussione è filosofica e culturale solo nella forma. In realtà ogni sua frase è un’arma. O, se si preferisce, un’arringa avvocatesca, che si avvale di tutti gli espedienti retorici, di tutti gli artifici e i sotterfugi idonei a far vincere la causa.

Non molto diversa – a giudicare da quanto riportato da Scruton – la posizione di Said. Il suo intento (forse ispirato anche da un comprensibile risentimento per la situazione della sua terra d’origine) è quello di deprimere la cultura occidentale – servendosi di tutti gli strumenti elaborati appunto dalla cultura occidentale – ed esaltare quelle orientali.

Rorty e Said sono soldati armati di parole e nessi sintattici: hanno scelto una parte e ne perseguono il trionfo con qualunque mezzo. Ogni cavillo, ogni garbuglio appare loro legittimo. Per quali ragioni abbiano scelto una parte, una causa piuttosto che un’altra, è argomento che si può discutere. Ma, date le premesse dichiarate, sarebbe grave errore pensare a convinzioni profonde circa il Vero, il Bello ed il Bene. Spesso viene da pensare (e gli indizi non mancano, anche se l’argomento andrebbe approfondito) che le motivazioni della scelta, da parte di parecchi esponenti delle teorie esemplificate dai due suddetti campioni, abbiano che fare col successo, il potere, il denaro. In qualche caso isolato, addirittura con problemi psichici, come sembrerebbe quello del guru decostruzionista Paul De Man, almeno stando a coloro che cercano di velarne i delitti allegando problemi di psicopatia! Dopo tutto, se i suoi problemi psichici spiegano – e in qualche modo ‘giustificano’ – le sue poco encomiabili azioni, perché non dovrebbero spiegare quel tetro vuoto di valori che sta dietro alle sue teorie?

scruton e consorte

Sir Roger e Lady Sophia 

al lavoro nella loro tenuta di Scrutopia