Montale e Leoncavallo (2): una marachella di Montale
Riprendiamo la discussione sulla recensione di Montale al
Mameli di Leoncavallo(v. Montale e Leoncavallo)
alla luce della discordante versione di Marianna Montale.
La cortesia dell’amico Stefano Moia mi obbliga a far
seguire al post una … postilla. Mi segnala, infatti, l’esistenza di una lettera
della sorella del poeta sull’episodio discusso
nell’articolo precedente.
Segnalazione esatta, per la quale gli rendo debite grazie.
Sull’argomento, Marianna Montale di lettere ne scrisse almeno due. Perché a
quella del 2 maggio 1916 – destinata a Minna Cognetti e già nota al biografo
Giuseppe Marcenaro (Eugenio Montale,
1999) – se ne aggiunge ora una pubblicata nel 2006 (in Lettere da Casa Montale, a cura di Zaira Zuffetti). E’ datata 29
aprile 1916 e, come la maggior parte, è diretta all’amica fiorentina Ida
Zambaldi. Il racconto dell’episodio è qui inserito in un contesto di attenzioni
materne e di entusiastica ammirazione per il fratello Eugenio, di cui Marianna,
di due anni più anziana, appare spiritualmente innamorata. Leggiamo la parte
per noi più interessante:
Eugenio,
o meglio “Genio”, «è proprio intelligente, sai? Ci capisce un po’ di tutto,
anche di musica […] C’è un suo compagno
che si è offerto come critico teatrale a un giornale quotidiano di qui… Ieri
l’altro rappresentavano per la prima volta un’opera di Leoncavallo: Mameli, e quel ragazzo, non sapendo cosa
fare si è rivolto a Eugenio. Allora Genio è andato a sentire l’opera (lui era
in loggione, perché alla première l’ingresso in platea è di dieci lire, e il
suo amico era giù tutto elegante, in poltrona, come giornalista!). Poi uscito
da teatro è andato col suo amico in un caffè e gli ha buttato giù l’articolo… Ma
in un lampo, a mezzanotte e mezzo era a casa! L’articolo è comparso ieri col
nome del suo amico e ha avuto un’accoglienza entusiasta… Tutti hanno dichiarato
che il suo articolo era superiore a tutti gli altri, dei quotidiani maggiori.
Ed è vero: gli altri articoli fanno ridere. “Ma” mi ha detto Genio, “ne avrei
avute tante altre cose da dire! Ma l’articolo era già discretamente lungo e il
mio amico ha detto che bastava” […] Ma tu vedessi che stile diverso nell’ultimo
pezzo che è del suo amico! Uno stile scolastico, con la chiusa rumoreggiante!».
La lettera successiva (2 maggio) – meno confidenziale – non
aggiunge molto, ma è interessante soprattutto per qualche ulteriore dettaglio relativo
al chiasso suscitato dall’articolo, e per un più sbrigativo giudizio sul valore
del ‘critico’ del Piccolo. Eccone
qualche passo:
Eugenio
giorni fa ha scritto il resoconto della première della nuova opera di
Leoncavallo Mameli per un suo
compagno che si è offerto a un giornale come critico teatrale, ma non è buono a
nulla: Eugenio era in loggione, il suo amico in platea come giornalista! Poi
sono usciti insieme e sono andati in un caffè; Eugenio ha buttato giù
l’articolo, ma in un lampo! A mezzanotte e mezza era già a letto. Ebbene il suo
articolo è stato giudicato il migliore, al Sindacato dei corrispondenti; il suo
amico ha avuto degli abbracci, degli elogi; Leoncavallo lo ha mandato a
chiamare…
Rispetto alla versione di “Genio”, troviamo anzitutto conferma
di un fatto che avremmo potuto facilmente sospettare, e cioè che il ‘critico’
non rinunciò, prima di apporre la propria firma, a conferire un ‘tocco
personale’ almeno alla conclusione, suggellando il pezzo con un capoverso bastantemente
involuto e ben risonante di retorica patriottarda.
Apprendiamo, poi, che l’articolo sarebbe stato scritto in
un caffè esterno al teatro, dove i due amici si sarebbero trasferiti al termine
dello spettacolo.
Ma – cosa ben più sorprendente – troviamo anche un
particolare in netto contrasto con la versione del diretto interessato: Montale
l’opera l’avrebbe sentita. Anzi, l’avrebbe ascoltata con l’attitudine
professionale di chi si appresta a recensire.
Ora, è evidente che le due versioni sono incompatibili:
se dice il vero Marianna, allora “Genio” mente; e viceversa. A meno che non si
tratti di errore. Ma errore non può esserci. Da parte della sorella, sarebbe
davvero contro ogni logica; ma anche un Montale che “ricordi male” un
particolare della storia tanto essenziale per il suo significato appare poco
credibile. E d’altra parte che motivo avrebbe potuto avere, Marianna, per una
così pesante deformazione della realtà, in una lettera all’amica Cognetti e, peggio,
a Ida Zambaldi, sua confidente d’elezione? Bisogna proprio rassegnarsi ad
ammetterlo: il poeta ha mentito! Ma a chi? A Leone Piccioni o alla sorella?
Personalmente, non avrei dubbi. L’idea che Montale,
all’età di quasi settant’anni, cada nella meschina vanità di inventarsi la
storiella d’esser riuscito a scrivere un articolo dal successo clamoroso senza aver mai sentito l’opera recensita
sembra, essa sì, meschina. Per me, quella sera Eugenio uscì di casa dicendo
alla sorella che sarebbe andato a sentire la nuova opera di Leoncavallo. E avrà
avuto intenzione di farlo, e comunque a teatro ci andò veramente. Ma qualcosa
gli fece poi cambiare idea. Forse pensò che un’opera di Leoncavallo – su quel
soggetto, poi – lo avrebbe annoiato… Fatto sta che, invece che al loggione,
andò al caffè, probabilmente sperando di incontrarvi qualche personalità
interessante dell’ambiente. Lì fu raggiunto dal disperato Guerriero,
verosimilmente durante l’intervallo. (Ricordiamoci che, nel racconto del poeta,
l’opera si stava svolgendo, mentre
lui e l’amico erano nei sotterranei del
Teatro, al caffè del Teatro. D’altra parte, è certo che l’intervallo ci fu,
e anche abbastanza lungo, almeno una quarantina di minuti, se è vero quanto
riferito dalla Stampa, che l’opera ebbe
inizio alle 21.30, con la “marcia reale”, e il secondo atto cominciò alle 23).
Quel che non si può escludere, anche se non detto, è che Montale abbia
assistito al secondo atto. E questo, effettivamente, gli avrebbe facilitato di
molto il compito. (Ma potrebbe anche essere che abbia sfruttato quella mezz’ora
circa per cominciare a buttar giù qualcosa…).
Montale dunque mentì alla sorella. Come avrebbe fatto a
spiegare alla ‘sorellina’ che lo adorava, e gli faceva un po’ da mamma (Genio «
è solo un piccolo bimbo che ha bisogno di carezze», scrive Marianna in quella
lettera a Ida fervida di ammirazione e di amore per il fratello più giovane di
lei di soli due anni), come avrebbe fatto a spiegarle che, invece di ascoltare
l’opera, se n’era stato tutta la sera al caffè, come uno qualunque di quegli
sfaccendati per i quali né lui né lei avevano alcuna simpatia? Meglio una
piccola bugia, avrà pensato il giovane poeta. Una bugietta detta da un “bimbo”
bisognoso di coccole è una marachella facilmente perdonabile!