In un articolo precedente, dedicato a Monteverdi e Tasso (v. Combattimento),
si è fatto cenno alle ‘gorghe’ (o ‘gorge’), esemplificando con un esercizio
di Giovanni Luca Conforti. È ora il momento di riprendere il discorso. Non è –
come potrebbe sembrare a prima vista – un argomento di esclusiva pertinenza di
eruditi. Già il fatto che le ‘gorghe’ rientrassero nella pratica esecutiva
generalizzata dei cantanti del XVI e XVII sec., e oltre, dovrebbe bastare – io
credo – a richiamare l’attenzione di chiunque abbia interesse al belcanto e al
suo svolgimento. Ma c’è di più: esse erano
pratica corrente anche nella musica strumentale, sebbene in questi casi si
preferisse parlare di ‘passaggi’ o ‘diminuzioni’. Uno dei trattati teorici
più antichi sull’argomento, la Fontegara
di Silvestro Ganassi del Fontego (1535), è dedicato al flauto (diritto), ma con
la precisazione che esso può risultare utile “ad ogni histrumento di fiato et
chorde, et ancora a chi si diletta di canto”. In realtà, trilli, gorge,
diminuzioni e passaggi rientrano nel grande tema delle tecniche di ornamentazione e d'improvvisazione sia vocale che strumentale, e sono tra le premesse essenziali alla meravigliosa
fioritura della musica barocca.
Giovanni Luca
Conforti
Consentitemi, dunque, di riprendere l’argomento e di svilupparlo in concomitanza con un cenno
a un paio di episodi interessanti della vita dell’autore che ci ha fornito
l’esempio precedente e altri ce ne fornirà in questo articolo. Non solo per un
banale motivo di gratitudine postuma, ma anche perché questo ci offrirà
l’occasione per una fuggevole sbirciatina nella vita musicale delle corti
post-rinascimentali, in particolare quella papale, con la sua prestigiosa
Cappella Sistina, e quella del duca di Mantova.
Giovanni Luca Conforti, dunque. Chi era costui?
Il richiamo al celebre incipit manzoniano appare più che
giustificato. Da molto tempo, ormai, quello del Conforti è un nome noto solo
agli specialisti. Ma ai suoi tempi Giovanni Luca – cantante, compositore,
teorico musicale – fu artista noto e ricercato. Basterebbe, a provarlo, la
testimonianza del protonotario Capilupi, emissario del duca di Mantova
Guglielmo Gonzaga (1538-1587). Scrivendo da Roma al suo signore – mecenate ed
egli stesso musicista dilettante, all’affannosa ricerca di musici di valore per
la sua corte – Capilupi suggerisce appunto il nome del Conforti, esaltandone le
straordinarie doti di ‘falsetto’ (“il meglio che sia in Roma”!) e l’eccellenza
nella musica profana[1].
Valutazione confermata, molti anni dopo (1640), da Pietro Della Valle, un
musicista molto critico con i musici della generazione del Conforti. Eppure, riandando
agli anni della sua fanciullezza, non può fare a meno di ricordare con
ammirazione il ‘falsetto’ Giovanni Luca, “gran cantore di gorge e di passaggi,
che andava alto alle stelle”.
Chi era, dunque, questa celebrità canora della fastosa
Roma del tardo Cinquecento; questo ‘falsetto’ che, per riprendere le parole di
Capilupi, "canta di testa e fa contrappunti e, come si dice, di gorga che pare un rosignuolo”?
La prima notizia certa la troviamo nel registro dei
cantori della Cappella Sistina, all'anno 1580: Ego Joannes Luca Conforti clericus militensis. La formula, di mano
dell'interessato, ce ne attesta l’appartenenza al clero di Mileto (militensis è un evidente lapsus
calabrese – da Militu – per il corretto miletensis),
e l'avvenuta affiliazione al coro della Sistina. Nulla ci dice, invece, della
data del suo arrivo a Roma; né degli appoggi che consentirono al giovane
provinciale di farsi conoscere e apprezzare nel selettivo circolo della
Cappella pontificia tanto da esserne cooptato ventenne o poco più.
Mileto
Mileto in una stampa del ‘600:
in alto a
sinistra (L), il Seminario dove C. ricevette la sua formazione |
Poco sappiamo delle condizioni dell’arte musicale a
Mileto nel XVI sec. (i documenti, evidentemente, andarono distrutti nel terremoto dell'83). Ma sembra che presso la cattedrale fosse
attiva una Schola cantorum di qualità
non spregevole. Del resto, da Mileto proveniva anche Giandomenico Martoretta (o
La Martoretta, come, con malcelata civetteria, preferisce firmarsi), un
madrigalista dalla vita errabonda, nato
verso il 1515, ricercato e conteso per la sua bravura da diverse corti. In
questo ambiente, dunque, nacque Giovanni Luca Conforti verso il 1560[2],
e qui certamente ebbe la sua prima formazione musicale.
L’affaire
Palestrina
Sisto V (partic.) - Loreto |
Ma la sua felice condizione non doveva durare a lungo.
Il 31 ottobre 1585 il buon Conforti veniva messo brutalmente alla porta dal
Papa in persona. Le circostanze di tale evento non sono ben chiare nei
particolari. Nell’Ottocento ne ha tentato una ricostruzione Giuseppe Baini, in
un ampio studio dedicato alla vita e alle opere di Pierluigi da Palestrina, basandosi
essenzialmente sul diario manoscritto dell’allora segretario del Collegio dei cantori
della Sistina Paolo da Magistris, ma qua e là aiutandosi con la fantasia[3].
Da tale resoconto sembra di capire che in definitiva l’ingenuo Giovanni Luca si
sia lasciato coinvolgere e travolgere da un intrigo ordito dallo stesso Sisto
V. La foga riformatrice del grande Papa, da poco asceso al trono, investì anche
il Collegio dei cantori della Cappella Sistina, sconvolgendone il tradizionale
assetto di potere. Deciso a sottrarlo al controllo d’un ecclesiastico d’alto
rango (di solito un “vescovo assistente”, quasi sempre ignaro di musica),
progettò di affidarne la direzione a Pierluigi da Palestrina, che della
Cappella era, in quegli anni, il compositore ufficiale. Per qualche sua
ragione, però, papa Sisto non volle agire direttamente. Convocò dunque l’allora
“Maestro” della Cappella Mons. Boccapadule, e gli ordinò di adoperarsi affinché
i cantori ‘richiedessero’ come loro Maestro appunto il Palestrina (che, in ogni
caso, sembrerebbe estraneo all’intrigo). Il Boccapadule, ovviamente, si
dichiarò pronto all’obbedienza, ma, consapevole del vespaio di proteste che l’innovazione
avrebbe suscitato soprattutto tra i cantori “anziani”, cerca di agire con
diplomazia. Le cose vanno per le lunghe, e il cardinale Michele Bonelli (detto
l’Alessandrino), vicario generale e scrupoloso esecutore della volontà del
focoso Pontefice, ordina l’immediata consegna delle “Costituzioni” della
Cappella. A recargliele è una delegazione di cui fa parte il Conforti.
Evidentemente i delegati non seppero tenere la bocca chiusa. Sta di fatto che,
poco tempo dopo, quattro cantori si ritrovano, d’ordine del Pontefice, espulsi
dal Collegio. E mentre due di loro una quindicina di giorni dopo saranno
perdonati e riammessi, per Giovanni Luca e per Gian Battista Giacomelli (i due
che si erano espressi con più franchezza?) non valgono né preghiere né
promesse.
Compositore e
curatore editoriale
Seguire le tracce del miletese nei sei anni successivi è
piuttosto complicato. Il già citato Baini scrive che il Conforti, pur
corteggiato per la sua bravura da Cappelle e da Principi, non volle “mescolare
alla rinfusa nella sua fama disonoranze ed onori” e preferì “nascondersi in
Mileto e tollerare pazientemente la sua umiliazione”. A Mileto, dunque! A
smaltire, tra cose e persone familiari, la sua “umiliazione”. Una sorta di ‘regresso
all'infanzia’, in fuga dai problemi della vita reale. Sennonché, questo ritorno
ai luoghi d’origine sembra, più che altro, un parto della fantasia del Baini.
Già nel gennaio del 1586, infatti - a circa due mesi dal “licenziamento” -
troviamo il Conforti ancora a Roma, contattato da agenti del duca di Mantova
Guglielmo Gonzaga che lo vorrebbe al suo servizio. Il duca, visti fallire i
numerosi tentativi di avere alla sua corte cantori eunuchi - ricercati
inutilmente non solo in Italia, dove allora (sia detto con onore!) erano rari,
ma anche in Francia, e persino in Spagna, che ne abbondava - si era rassegnato
ad accontentarsi di “falsettisti”, uomini che, cantando di falsetto, erano in
grado di sostenere dignitosamente, se non con l'eccellenza dei castrati, parti
di contralto o di soprano. Ma li voleva con la testa a posto, con “buona voce”,
“sicuri nel cantare”; meglio ancora se esperti nel contrappunto e valenti
suonatori di liuto. E, soprattutto, non troppo cari! Gli emissari del duca, tra
cui il cantante basso Paolo Facone, il “patriarca di Gerusalemme” Scipione
Gonzaga e il protonotario Capilupi, assunte informazioni e constatato di
persona, suggeriscono il nome del “falsetto” Giovanni Luca, cioè appunto del Conforti.
Ed è proprio dalla fitta corrispondenza relativa a queste trattative che
abbiamo tratto le citazioni del Capilupi sopra riportate. Le trattative
comunque non approdarono a nulla, perché il Conforti, consapevole del proprio
valore “di mercato”, dovette avanzare pretese giudicate troppo onerose.
Tra le attività di questo sessennio, che il Baini
incautamente definisce di “umiliante riposo”, c’è anche quella di curatore di
edizioni musicali. È lui che “firma” la pubblicazione del I volume delle Canzonette di Paolo Quagliati, in data
15 giugno 1588. Iniziativa premiata da immediato successo, se a soli quindici
giorni di distanza, avute “nelle mani altre canzonette del signor Paolo
Quagliati, ch’egli ha composte a richiesta di varie gentildonne romane”, si
affretta a pubblicarne un secondo volume nel quale inserisce, al N° 15, una
propria “canzonetta” intitolata Amara
vita è quella degli amanti. Sempre – a quanto pare – senza autorizzazione
del Quagliati.
La sua aspirazione più profonda rimase comunque sempre
quella di poter tornare, un giorno, a far parte della prestigiosa Cappella
pontificia. La morte dell'implacabile Sisto (1590) riaccese le sue speranze; e
queste infine trovarono coronamento sotto Innocenzo IX, il 4 novembre 1591.
Per gli anni successivi non abbiamo notizie particolari.
La sua vita dovette scorrere tranquilla e operosa, tra l’esercizio della
professione e connesse iniziative editoriali, come, nel 1592, la pubblicazione
di un’antologia di composizioni sacre a otto voci tratte da diversi autori.
Gorge, passaggi e
altro
La pubblicazione della sua opera per noi più interessante
cade, molto probabilmente, nell’anno successivo. (La data purtroppo non è
sicura: nell'unico - a mia conoscenza - esemplare superstite (Bologna, Museo
internazionale e biblioteca della musica) le cifre intermedie del millesimo
sono illeggibili; dunque 1593 o 1603?). Si tratta della già ricordata Breve et facile maniera d'essercitarsi ad
ogni scolaro, non solamente a far passaggi, ecc. ecc. (il titolo occupa l'intera
prima pagina, esponendo analiticamente il contenuto e indicandone i
destinatari). Il libretto consta di una quarantina di paginette, trenta di
scrittura musicale (gli “esercizi”)
e otto di “dichiaratione” che, oltre
ad offrire la chiave di lettura degli esercizi, espone la posizione teorica
dell'autore.
L'intento - lo si è già capito - è eminentemente
didattico. A noi, però, interessa di più per le non poche informazioni utili
alla ricostruzione della storia del canto e delle tecniche dell'ornamentazione
e dell'improvvisazione sia vocale che strumentale.
Il Conforti vi illustra l’arte di ornare, cioè di abbellire una melodia mediante le gorge (o gorghe) o – come lui preferisce dire – i passaggi. Termine, questo, molto comune, tanto che se ne era
derivato un verbo transitivo: passaggiare,
cioè sottoporre una melodia a tale trattamento esornativo. Indica, appunto, il ‘passaggio’,
diciamo così indiretto, da una nota all’altra di una data melodia, ottenuto con
la frammentazione di una nota lunga in ‘noticine’ di durata minore ma
complessivamente equivalente a quella di partenza. Ne risulta un’esecuzione
fiorita e sinuosa (andamento reso materialmente visibile nella scrittura
confortiana, dove i tagli delle serie di crome e semicrome sono tracciati non
nel consueto modo rettilineo ma seguendo, approssimativamente, il profilo
melodico delle note; v. fig. 1 e 2). Un’esecuzione che, per il lussureggiante
moltiplicarsi di note e noticine accessorie, assume tratti decisamente
barocchi e spesso, per la rapidità e difficoltà dei passaggi, carattere
virtuosistico. Il Conforti si colloca così, grazie a quest’opera, nella serie
di quei trattatisti (Ganassi del Fontego, Diego Ortiz ecc.) che con il
trattamento virtuosistico di una delle linee melodiche della polifonia
favoriscono l'evoluzione verso l'esecuzione solistica non solo vocale, ma anche
strumentale, per questa parte preparando, con largo anticipo, gli sviluppi
della musica barocca.
fig.
2
(da Conforti, Breve et …): È facile
constatare che all’epoca si chiamava trillo
quello che per noi è un tremolo, mentre il nostro trillo era detto groppo ( o gruppo).
|
Una voce critica:
Caccini
Usato con gusto e senso della misura, questo procedimento
poteva aggiungere al pezzo grazia e leggerezza. Il guaio era che i cantanti più
dozzinali tendevano ad abusarne, suscitando la riprovazione dei musici più
sensibili e di palato più fine. Si è vista, nell’articolo precedente, la
posizione di Monteverdi. Qui voglio concludere con un ammonimento di Giulio
Caccini, il cantante e compositore che, nella ricostruzione degli studiosi,
contende a Conforti l’invenzione del trillo (v. fig. 3). Ammonimento tuttora non privo d'interesse, anche se il carattere
‘partigiano’ della posizione del Caccini è certamente innegabile. Di un decennio più
vecchio del Conforti, legato alla Camerata fiorentina e tra i creatori del
melodramma, Caccini combatte una sua battaglia in difesa del valore prioritario
della parola poetica, a suo giudizio irrimediabilmente compromessa dalla
polifonia, che utilmente si rimpiazzerebbe col canto monodico. Per la stessa
ragione si batte contro l’abuso dei ‘passaggi’, nati nell’ambito di quel contrappunto
che per lui non è che “laceramento della Poesia”. Gli “intendentissimi gentilhuomini” della Camerata fiorentina – scrive
nell’introduzione alle Nuove musiche
(1601) – lo hanno sempre incoraggiato “a non pregiare quella sorte di musica,
che, non lasciando bene intendersi le parole, guasta il concetto et il verso”,
come avveniva a quegli interpreti che infarcivano di ‘passaggi’ “ogni qualità
di musiche pur che per mezzo di essi
fussero dalla plebe esaltati, e gridati per solenni cantori”. “I passaggi –
ammonisce Caccini – non sono stati ritrovati perché siano necessarii alla buona
maniera di cantare, ma credo io più tosto per
una certa titillatione a gli orecchi di quelli che meno intendono che cosa sia
cantare con affetto [cioè con espressione, secondo il senso del testo
poetico]; che, se ciò sapessero, indubitatamente i passaggi sarebbono
abborriti”.
fig. 3
(da G. Caccini, Le nuove musiche): conferma quanto già osservato a proposito di trillo e gruppo.
|
[1] Falsetto, o falsettista, era il
cantante maschio capace di cantare nei registri tipicamente femminili di
contralto e di soprano. Era chiamato così perché emetteva una voce ‘falsa’, di
testa.
[2] La data di nascita – 1560 – è
congetturale e approssimativa. Più sicura, da qualche decennio, quella di
morte, che Giuseppe Ferraro, sulla base di una segnalazione di Rostirolla,
assegna all’11 maggio 1608.
[3] La ricostruzione del Baini è
stata messa in dubbio e corretta su parecchi punti da diversi studiosi. Per esempio,
Giuseppe Ferraro, nel 1981, riprendendo e sviluppando un suggerimento di R.
Casimiri, attribuisce l’espulsione a una
presunta adesione di Conforti a un’altra associazione, e precisamente alla Soliditas musicorum de Urbe, intitolata
a S. Cecilia. Ma, sulla base di considerazioni che qui sarebbe fuor di luogo
riportare, ritengo che, almeno nella sostanza, l’ipotesi del Baini sia ancora
la meno lontana dalla verità.