Fontanelli Francesco, "Tra Strauss e Malipiero. Persistenza ‘mitica’ di Arlecchino nel teatro musicale primonovecentesco"
in Busoni Arlecchino e il futurismo,
atti del Convegno, Empoli 13-14 marzo 2016, (v. Busoni Arlecchino e il futurismo), pp.19-59.
Arlecchino mesce da bere ad Arlecchino nel giardino di
Montegufoni, di Gino Severini
(per gentile concessione della Gestione del Castello
di Montegufoni (FI)
che ospita l’affresco) |
Fontanelli segue le varie metamorfosi simboliche via via
subite dalla maschera bergamasca in alcune opere primonovecentesche.
Si parte da Ariadne
auf Naxos di Richard Strauss. Le
maschere italiane dànno agio all’autore di aggirare lo scoglio di Wagner,
stemperando la tragedia di “Arianna abbandonata” nella temperie “giocosa,
sentimentale, umana” propria della fascinosa Commedia dell’arte. Simbolo di
questo fascino è, nella seconda versione dell’opera, Zerbinetta, che con la sua
grazia civettuola riconcilia alla vita lo sdegnoso Compositore, già pronto a
darsi la morte piuttosto che accondiscendere alle volgari richieste di un ricco
mecenate. Ma portatore del messaggio è lui, Arlecchino, che persuade Arianna
alla serena accettazione della vita com’è, con la sua inevitabile mescolanza di
gioie e dolori. Ed Arlecchino-Strauss sembra tendere la mano allo Schumnann dall’epigrafe ai Davidsbündlertänze: “Da sempre, in ogni
tempo, gioia e dolore si mescolano; siate sereni nella gioia e affrontate con
coraggio il dolore”. (Insegnamento, peraltro, antico almeno quanto Omero –
aggiungiamo noi – che già lo proponeva, per bocca di Achille, nella parabola
dei due orci posti nella reggia di Giove). Tale “risemantizzazione romantica”
della maschera di Arlecchino, a giudizio di Fontanelli, influisce sulla
struttura dell’opera, precisandone il significato e chiarendo le ragioni dell’altrimenti inspiegabile scelta di
sostituire, nel finale della seconda versione, il duetto di Bacco e Arianna
alla festosa danza delle maschere, l’opera seria al “frizzante, terrestre mondo
della commedia dell’arte”. “E se quel sublime duetto fosse la vera vittoria di
Arlecchino, uno dei suoi più riusciti camuffamenti simbolici?”. Per Fontanelli
non ci sono dubbi. E, se non proprio prove, ne fornisci convincenti indizi,
attraverso spunti di analisi musicale non meno che testuale.
Il nostro eroe riappare, poi, in ben due opere di Riccardo Pick-Mangiagalli.
Nella commedia mimico-sinfonica Il “Carillon” magico (1915), Pick mette in scena un Arlecchino
burlone che, per farsi beffe dell’ingenuo Pierrot, evoca un mondo fiabesco,
illusorio, ma “più bello di quello degli uomini”. Uno “spettacolo lieve”, non immemore del Falstaff verdiano, col quale il critico
esibisce precisi riscontri. Più frizzante, caustico, sicuro di sé, più vicino
al busoniano esponente esemplare di autenticità e libertà di spirito,
l’Arlecchino confezionatogli da Boito in Basi
e bote (1918-20), per il teatro di marionette. Qui, come già alla fine
della commedia di Busoni, Arlecchino
celebra il proprio trionfo di maschera ribelle ad ogni legame, e
trascina tutte le altre in una corale celebrazione della Commedia dell’arte “nella sua accezione
più genuina e vernacolare”.
Un
angolo dell'esposizione temporanea "Marionette e burattini" al
Teatrino delle Orsoline
|
Una scena simile, forse addirittura più affollata,
aveva presentato Mascagni nelle Maschere;
a cui, a mio parere, andrebbe riconosciuto almeno il merito di primogenitura,
se è vero che la sua creazione anticipa di un decennio l’Ariadne straussiana e di quasi un ventennio i baci e le botte di
Pick-Mangiagalli. Fontanelli va giù pesante, contrapponendo la leggerezza e
spigliatezza della musica di Pick alla gonfiezza retorica di Mascagni. Vero è
che, pur non disconoscendo la responsabilità del musicista, lo studioso chiama
in causa principalmente il librettista. L’ “enfasi declamatoria” della musica,
a suo giudizio, è dovuta al “tentativo di idealizzare una materia farsesca
percepita come prosaica e inautentica”. E tocca proprio ad Arlecchino svelare
l’ideologia sottostante al lavoro di Illica e Mascagni: la Commedia “ambisce a
sussumere la realtà caduca e apparente nella sfera ‘metafisica’
dell’autenticità, dell’universalità”.
Pulcinella, di Gino Severini
(per gentile concessione della
Gestione del Castello
di Montegufoni (FI)
che ospita l’affresco |