Busoni Arlecchino e il futurismo
Ferruccio Busoni nel 1911 (dal volume degli Atti) |
Recensione (ultima modifica: 30 agosto 2017) del volume BUSONI / Arlecchino e il
futurismo, Atti del Convegno dedicato all’argomento.
Prendendo avvio dall’Arlecchino del musicista Ferruccio Busoni, gli articoli diramano in varie direzioni: dalle maschere della Commedia dell’arte, al loro multiforme riaffacciarsi nel teatro musicale novecentesco (Mascagni, Strauss, Pick-Mangiagalli, Wolf-Ferrari, Malipiero, Casella…), ai rapporti di Busoni con altri musicisti (Liszt, Pfizner, Sibelius…).
Prendendo avvio dall’Arlecchino del musicista Ferruccio Busoni, gli articoli diramano in varie direzioni: dalle maschere della Commedia dell’arte, al loro multiforme riaffacciarsi nel teatro musicale novecentesco (Mascagni, Strauss, Pick-Mangiagalli, Wolf-Ferrari, Malipiero, Casella…), ai rapporti di Busoni con altri musicisti (Liszt, Pfizner, Sibelius…).
Argomenti specialistici? Be’, le maschere della Commedia dell’arte fanno parte del patrimonio comune di una persona mediamente colta; e i
musicisti coinvolti non sono nomi tanto peregrini: Busoni, per dire, certo meno noto del popolarissimo Mascagni, è tuttavia da
annoverare tra i grandi della musica mondiale del suo tempo, pietra miliare
nello sviluppo della musica novecentesca… Tuttavia –
devo ammetterlo – questo post un po' particolare lo è; gli argomenti trattati (e la maniera di affrontarli) sono specialistici. Che fare? Ai miei amici meno avvezzi a queste tematiche non posso che promettere (promessa formale, solenne!) che terrò la
mano quanto più leggera possibile, (sperando di non tradire il pensiero degli autori). Anche per questo, più che di recensione, dovrei parlare di semplice segnalazione: dato il numero degli interventi, e l'ampiezza e varietà degli argomenti, una vera recensione avrebbe dilatato a dismisura un post già troppo lungo.
Casa natale di
Busoni a Empoli, nella moderna Piazza della Vittoria,
piuttosto diversa
dal ‘Campaccio’, “piazzale vastissimo e non lastricato”
come la descrive il
musicista, venuto al mondo “in una delle casupole che lo circondano”
|
Ah, dimenticavo. Il convegno si è tenuto a Empoli, città
natale di Busoni (1866-1924), il 13-14 marzo dell’anno scorso, organizzato, col
patrocinio del Comune, dal Centro studi musicali “Ferruccio Busoni”
egregiamente diretto dal Maestro Marco Vincenzi, con la preziosa collaborazione
di Stefano Donati, segretario ‘factotum’. Gli Atti sono stati pubblicati (a
cura di Giovanni Guanti) da LoGisma ed., 2016, (n. 71 di “Civiltà musicale”).
Ne do notizia tanto più volentieri in quanto a quel
Convegno ho avuto il piacere di partecipare, beninteso in veste di semplice
uditore, disciplinato scolaro.
Il contributo del curatore, Giovanni Guanti, (“Ridateci gli Arlecchini”, pp. 7-18) inquadra l’Arlecchino
busoniano in una panoramica delle varie epifanie della maschera bergamasca in
opere d’arte di varia natura. Ne emerge un personaggio che, forte della sua “intatta
umanità” di maschera, e privilegiando
le pulsioni “biofile” su quelle “tanatofile”, leva alta la voce a spezzare la
“spirale del silenzio” che grava su concezioni etico-politiche mortifere, imposte da uomini assetati di
potere e passivamente assorbite da masse acquiescenti. L’Arlecchino di Busoni
“ci apostrofa nel più urtante dei modi ma per svegliarci”.
Alcuni interventi sono strettamente connessi a esibizioni
che hanno allietato l’incontro. Così Enrico
Bonavera, allievo ‘di bottega’ di Ferruccio Soleri, ci offre una chiave di
lettura della sua esibizione mimica ispirata al Rondò arlecchinesco di Busoni. Quirino
Principe (“Tagliando a strisce la volta celeste, ovvero: divieni ciò che
sei”) riporta una “selezione di passi tratti dagli scritti di Busoni, letti da
Enrico Bonavera e alternati a composizioni del musicista empolese interpretate
dal pianista Alessandro Marangoni”.
Giorgio Sangiorgi (“Maschere e burattini nel
cinema muto o da poco sonorizzato”, 113-130) propone una filmografia di
“maschere e burattini” dal 1905 al 1940. Piero
Mioli, dal canto suo (“La messa in scena bolognese dell’Arlecchino di Busoni con la regia di
Lucio Dalla”, 93-102) indica, nella regia del cantautore, “una doppia parodia,
ora simpatica e ora graffiante, più spesso agrodolce, ancipite, ambigua,
nonostante tutto tutta novecentesca”; e conclude con una rapida rassegna delle
poche (e poco benevole) recensioni dello spettacolo.
Altri studiosi esplorano le varie reincarnazioni di
Arlecchino in musica.
Così Francesco
Fontanelli (“Tra Strauss e Malipiero. Persistenza ‘mitica’ di Arlecchino
nel teatro musicale primonovecentesco”, pp.19-59) segue le varie metamorfosi
simboliche via via subite dalla maschera bergamasca in alcune opere
novecentesche. (vedi Fontanelli
Su un terreno analogo si muove la ricerca di Maria Cristina Riffero (“Le metamorfosi
di Arlecchino. Esempi attraverso le creazioni di alcuni musicisti italiani del
primo Novecento”, pp. 131-156) (vedi Riffero).
Giovanna
Cermelli (“Romanticismo, tardo-romanticismo e maschere italiane”,
pp. 103-112) ricerca
nella cultura romantica tedesca le radici dalla Nuova commedia dell’arte
busonianana (vedi Cermelli)
Con gli interventi di Silvano Salvadori ("Prosecuzione e fine dell'Arlecchineide: si riapra il sipario!", pp. 61-74; vedi Salvadori) e Monica Zefferi (“La prima traduzione italiana della seconda parte dell’Arlecchineïde di Ferruccio Busoni. Un libretto (quasi) sconosciuto”, pp. 75-92; vedi Zefferi) il discorso si focalizza su un’opera pensata come prosecuzione dell’Arlecchino e rimasta incompiuta.
Chi vuole farsi un’idea precisa delle circostanze
biografiche che stanno dietro il pessimismo beffardo dell’Arlecchino e, più ancora, dietro quello apocalittico dell’Arlecchineide, non ha che da leggere il
saggio denso e ben documentato di Laureto
Rodoni (“Implicazioni biografiche nell’elaborazione letteraria e musicale
di Arlecchino”, pp. 173-190; vedi Rodoni).
In territori più sereni, e a relazioni più tranquille, ci riportano gli articoli di Marco Vincenzi (“Faust e Arlecchino ovvero Liszt e Busoni: intersezioni nella vita, nel repertorio e nelle composizioni per pianoforte”, p. 197-205; vedi Vincenzi) e di Ferruccio Tammaro ("Busoni e Sibelius: un’amicizia complementare”, pp. 207-218; vedi Tammaro)
In territori più sereni, e a relazioni più tranquille, ci riportano gli articoli di Marco Vincenzi (“Faust e Arlecchino ovvero Liszt e Busoni: intersezioni nella vita, nel repertorio e nelle composizioni per pianoforte”, p. 197-205; vedi Vincenzi) e di Ferruccio Tammaro ("Busoni e Sibelius: un’amicizia complementare”, pp. 207-218; vedi Tammaro)
Alla seconda parte del titolo del Convegno (… “e il
futurismo”) dedica la propria ricerca la studiosa tedesca Martina Weindel (vedi Weindel).
pianoforte esposto
nel Museo allestito nella sua casa:
sembra che il
Maestro solesse esercitarsi su questo strumento
ogni volta che tornava
nella cittadina natale
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