Recensione
a
Monica
Zefferi, “La prima traduzione italiana della seconda parte dell’Arlecchineïde
di Ferruccio Busoni. Un libretto (quasi) sconosciuto”.
in Busoni Arlecchino e il futurismo, Atti del Convegno, Empoli 13-14 marzo 2016, pp. 75-92 (v. Busoni Arlecchino e il futurismo).
Il
“libretto (quasi) sconosciuto” è un testo teatrale in tedesco, da Busoni
pensato come continuazione di Arlecchino ovvero Le finestre, e lasciato, se non
frammentario, certamente non rifinito, in una serie di fogli e foglietti
manoscritti, incerto anche nel titolo, oscillante tra Arlecchino II, Harlekineide,
Arlecchineïde. Nell’articolo qui recensito Monica Zefferi ce ne presenta la
propria traduzione.
Una pagina del manoscritto
(dall’edizione
KWB della Traduzione) |
Mette
subito le mani avanti, la traduttrice, negando al suo lavoro ogni pretesa
critico-filologica. Le ragioni di tanta prudenza (o modestia?) probabilmente
vanno rintracciate nelle condizioni dell’autografo busoniano, affidato a fogli
di fortuna e ricco di cancellature, modifiche, ripensamenti, e persino errori…
In mancanza di un’edizione critica sicura, la traduzione è stata condotta su
una trascrizione di mano di un amico di Busoni (Bruno Goetz), una trascrizione
che… va oltre la “messa a pulito”. Fatte queste premesse, l’autrice inquadra
brevemente il testo nella poetica del musicista empolese, scorgendo in questo
esperimento un’anticipazione del brechtiano “teatro epico”. “I quadri autonomi
delle quattro scene […] fanno appello alla ragione e non alla capacità empatica
dello spettatore, in aperta polemica antinaturalistica, e invitando il pubblico
a riflettere sull’argomento della rappresentazione”.
Interessante
l’ipotesi avanzata dalla Zefferi per spiegare la mancata pubblicazione del
testo da parte dell’autore. “Sarà stata probabilmente la critica sferzante e
feroce a persone e fatti a lui contemporanei, non ultimo un quadro preciso e
impietoso della sua famiglia d’origine, a indurlo, alla fine, a rinunciare alla
pubblicazione, che poteva risultare imbarazzante”.
Un Arlecchino… non proprio allegro e
scanzonato
G. Severini, Particolare della Sala
delle maschere
(per
gentile concessione delle Gestione del Castello di Montegufoni, che ospita l’affresco) |
Congettura
suggestiva e probabilmente azzeccata. Ad essa, per parte mia, vorrei
modestamente affiancarne un’altra, non alternativa bensì concomitante e
additiva. Personalmente credo che la visione fosca del mondo e della storia,
così crudamente espressa nell’Arlecchineide, sia largamente influenzata dalle
circostanze storiche e personali del 1918, l’annus horribilis busoniano (su cui
v. Rodoni), quello in cui la crisi esistenziale dell’uomo e del cittadino
raggiunse il suo culmine. Ridimensionatesi, con la fine del conflitto e il
ritorno nella patria d’elezione, le ragioni del profondo malessere, Busoni
probabilmente ritenne che l’opera – o meglio le sezioni di essa finora
elaborate – risentissero troppo immediatamente della situazione storica e
biografica che ne avevano condizionato la travagliata gestazione. E, d’altra
parte, preso com’era dall’urgenza di altri lavori (in particolare quel Doktor
Faust, “opera capitale e di Stato”, alla quale attribuiva tanta importanza)
probabilmente non trovò il tempo e l’entusiasmo necessari a un lavoro di
rifinitura che le conferisse quel distacco, quella purezza di contenuto e
quella forma che, al contrario di quanto pensavano alcuni suoi critici, Busoni
riteneva consustanziali all’opera d’arte.
Un
sezione non trascurabile dell’articolo è dedicata alla giustificazione dei
criteri che hanno presieduto alla traduzione.
Nonostante
le perplessità spesso sollevate sulla traducibilità dei testi poetici –
soprattutto in rima – la Zefferi non ha ritenuto di sottrarsi alla
responsabilità della traduzione di un testo poetico, senza rinunciare alla rima
nei punti in cui l’originale la contiene. “La nostra scelta – spiega la traduttrice
– corrisponde alla convinzione di una migliore aderenza allo spirito
dell’autore, anche nel senso di una sua maggiore forza di penetrazione
divulgativa e didattica. Ci siamo concentrati, inoltre, sul ritmo e sulla
musicalità delle parole, senza mai stravolgere il significato del testo”.
Lavoro molto impegnativo – aggiungiamo noi – condotto con la serietà attestata,
tra l’altro, da qualche spunto di analisi formale presente in questo suo
intervento, sufficiente a lasciare intravedere, alla base della traduzione, un
attento studio delle caratteristiche formali del testo busoniano, considerate
non in se stesse ma sempre in relazione alla loro funzione espressiva.
Pienamente
condivisibile, infine, l’auspicio che qualche valente studioso metta mano
all’edizione critica.
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