Recensione a
Marco Vincenzi, Faust
e Arlecchino ovvero Liszt e Busoni: intersezioni nella vita, nel repertorio e
nelle composizioni per pianoforte
Marco Vincenzi, musicista e direttore del Centro Studi
Busoni, prende spunto dall’accostamento di Franz Liszt a Ferruccio Busoni
proposto da Roger Scruton (su cui v. mio post del 2 febbraio scorso).
Accostamento occasionale, suggerito dalla constatazione che tanto nell’incipit della Faust-Symphonie di Liszt quanto in quello dell’Arlecchino busoniano troviamo l’esposizione di tutti e dodici i
suoni della scala senza ripetizioni; una procedura che oggi immancabilmente
suggerisce un’anticipazione del procedimento dodecafonico. Il Maestro Vincenzi
accoglie l’accostamento di Scruton come un invito a esplorare in maniera
sistematica – nei limiti di un breve intervento – i rapporti tra i due grandi
musicisti.
Il quadro che ne risulta fa apparire tutt’altro che
casuale la coincidenza richiamata dal filosofo inglese. Naturalmente non si
tratta di rapporti personali: nella vita Busoni incontrò Liszt una sola volta,
all’età di undici anni, portatovi dal padre ossessionato dall’idea di far
conoscere il suo enfant prodige.
Incontro prontamente rimosso dal giovanissimo musicista. Il quale, da adulto,
preferirà sostituirlo con un incontro… prenatale: racconterà che la madre, Anna
Weiss, pianista di una certa notorietà, almeno in un’occasione si era esibita
nella casa romana di Liszt, col futuro compositore ancora in grembo. Ben
altrimenti importante, la presenza del musicista ungherese, nella vita
artistica di Busoni, sia nell’attività concertistica che in quella più
propriamente creativa. Presenza documentata da Vincenzi minuziosamente, con
scrupolo filologico. Senza entrare in dettagli tecnici, mi limiterò qui a
riportare qualche osservazione.
Nella visione busoniana della storia – scrive Vincenzi –
“Liszt portava a compimento un periodo, aprendone allo stesso tempo un altro:
recuperando la polifonia bachiana, la fondeva con le conquiste formali di
Beethoven e con le scoperte timbriche di Chopin. Così facendo, Liszt preparava
la strada allo stesso Busoni, che – ritornando a Bach e “trasfigurandolo” –
chiudeva il cerchio”. Non fa meraviglia, quindi, che negli scritti del nostro
musicista risulti attestata così spesso l’ammirazione – e riconoscenza – per il
poliedrico, brillante musicista ottocentesco.
“Le opere di Liszt divennero la mia guida e mi dischiusero una
conoscenza intimissima della sua scrittura” leggiamo tra le citazioni riportate
nell’articolo; “sul suo specialissimo ‘periodare’ basai la mia ‘tecnica’:
gratitudine e ammirazione mi resero allora Liszt maestro e amico”. E ancora: “Liszt sta a fondamento di tutti gli edifici
musicali moderni e, in quanto fondamento, è sepolto sotto terra e rimane
invisibile”. Più sinteticamente: “In fin dei conti proveniamo tutti da lui”,
come si legge nella lapidaria citazione posta a emblematica conclusione
dell’articolo.
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