Recensione
a
Laureto
Rodoni, “Implicazioni biografiche nell’elaborazione letteraria e musicale di
Arlecchino”
in Busoni Arlecchino e il futurismo, Atti del Convegno, Empoli 13-14
marzo 2016, pp. 173-190 (v. Busoni Arlecchino e il futurismo).
Chi
vuole farsi un’idea precisa delle circostanze biografiche che stanno dietro il
pessimismo beffardo dell’Arlecchino e, più ancora, dietro quello apocalittico dell’Arlecchineide,
non ha che da leggere il saggio denso e ben documentato di Laureto Rodoni, titolare
di un sito online interessantissimo per
tutti gli argomenti del Convegno (e molto altro).
Busoni esule in Svizzera
ritratto da Boccioni circa due mesi
prima di morire
(da rositour.it)
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Sulla
base dell’epistolario del compositore empolese, e con frequenti rinvii al
proprio saggio Die gerade Linie ist unterbrochen. L’esilio di Busoni a Zurigo:
1915-1920, lo studioso svizzero ricostruisce le circostanze materiali e morali
nelle quali maturarono i due testi dedicati al variopinto, proteiforme
personaggio della commedia dell’arte. La sua ricostruzione – in particolare in
relazione all’annus horribilis 1918 – proietta una luce cruda sulla genesi del
nichilismo storico della quarta scena dell’Arlecchineide (prosecuzione e fine), non senza qualche
sinistro riflesso anche sul precedente Arlecchino.
“Non
avremmo avuto modo di sapere tutto ciò l’uno dell’altro, se la guerra non
avesse scompaginato la vita di ognuno di noi” scrive amaramente Busoni al
banchiere Albert Biolley, suo benefattore e ‘segretario’ a tempo perso, (che – more
mercatorum – si era avventurato a dargli qualche suggerimento di natura
economica, dall’artista giudicato gravemente lesivo della propria dignità).
Certo è così (i momenti di crisi rivelano l’uomo). Personalmente, però,
preferisco credere che il momento di grave prostrazione avesse un po’ preso la
mano all’artista non meno che all’uomo. Leggiamo, dunque, gli sfoghi busoniani
– ampiamente documentati nel saggio di Rodoni – in chiave positiva, come
testimonianza di un uomo che, pur ferito, contro tutto e tutti si ostina a
tenere lo sguardo pervicacemente dritto a un ideale di perfezione artistica
assoluta, una sorta di prefigurazione, nel mondo reale, dell’ardore creativo e
dell’eccezionale tensione innovatrice di Adrian Leverkühn. In fondo, da quella
temperie nasce e si sviluppa anche l’incompiuto Doktor Faust, che, nelle
intenzioni dell’autore, doveva risultare “opera capitale e di Stato”,
realizzazione suprema del suo mondo spirituale quale si era venuto costituendo
in una vita di studi e sperimentazione artistica.
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