Bruno Barilli
ritratto dalla
figlia Milena
(1938)
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Nei due post precedenti (trama e analisi libretto) ci siamo soffermati sul testo poetico dell’opera lirica Medusa di
Bruno Barilli. Qui ci occuperemo di Barilli musicista, della sua formazione, del suo tormentoso amore
per la musica, della composizione e vicissitudini della Medusa, del rapporto singolare che legò il musicista a questa sua
creatura prediletta.
Chi mi ha seguito nei due precedenti articoli rimarrà
comprensibilmente deluso, perché si aspettava di trovare l’analisi dell’opera
dal punto di vista musicale. Questo era appunto nelle mie intenzioni.
Sennonché, in sede di realizzazione, ho dovuto constatare che l’indispensabile premessa all’analisi aveva finito con
l’assumere essa stessa le dimensioni di un post, col rischio di compromettere
la leggibilità complessiva. Non mi è rimasto che prenderne atto, e scusarmene
con voi rinviandovi ancora una volta al prossimo incontro…
Bruno Barilli, “martire di
un’esistenza a due facce”
Il nostro compositore nacque a Fano il 14 dicembre 1880
“di padre pittore parmigiano e madre fanese”, come annota l’interessato. L’infanzia e l’adolescenza trascorse a Parma, studiando all’Istituto
tecnico, per poi dedicarsi interamente alla musica. A vent’anni “scappò” a
Monaco di Baviera. Alla Tonkunst Akademie frequentò “le classi di armonia,
contrappunto, fuga e composizione”. Studiò direzione d’orchestra sotto la guida
del wagneriano Felix Mottl. Ottenne il diploma “a ventiquattro anni”; dunque
nel 1905 (o, al più presto, a fine 1904) e non nel 1903 come viene generalmente
ripetuto.
A Monaco conobbe Danitza Pavlovic – figlia di una cugina
del re di Serbia Pietro Karageorgevic – studentessa di canto, di un paio d’anni
più giovane. Diverrà sua moglie e gli darà una figlia.
La più calzante e sintetica definizione della personalità
di Bruno Barilli l’ha data il diretto interessato: “martire di un’esistenza a
due facce: la musica e la letteratura”. Ma, attenzione: non si tratta del
“felice contrasto tra l’elemento drammatico e l’elemento lirico che più o meno
avviene nell’animo di ogni artista e ne feconda e stimola la facoltà creativa”,
come ottimisticamente scrisse il suo amico Alberto Savinio. Barilli una scelta
l’avrebbe fatta, e senza esitazioni. Le necessità e le circostanze della vita
ne fecero un giornalista di successo, un critico ammirato e temuto (e a volte
detestato), uno scrittore di talento universalmente riconosciuto e lodato. Ma
erano panni, questi, sontuosi quanto si voglia, in cui lui si sentiva troppo
stretto. “La letteratura non è per me che un incidente che dura da quarant’anni”,
gridava a chi cercava di disacerbarne il risentimento richiamando la sua
attenzione sulla stima universale di cui godeva in quel campo. Adorava la
musica, lui; si sentiva musicista fin dalle più profonde radici del suo essere,
e in quanto musicista avrebbe preteso pubblico riconoscimento. La mancanza di
un riconoscimento adeguato delle sue doti di musicista resta il suo cruccio più
tormentoso e duraturo. La musica era per lui il suo stesso sangue, la sua vita.
“Una delle ultime e delle più indimenticabili cose che ebbe a dire prima di
morire fu che per lui riaccostarsi alle sue opere era il solo modo che ancora
gli avanzasse per ritrovare e rigodere un po’ di vita: lì tra quelle note
scorreva il suo sangue più genuino, e riudirle era per lui come riattingere
sangue dalle sue stesse vene” ricorda Enrico Falqui. Purtroppo anche in questo
non fu particolarmente fortunato. Pochissime le rappresentazioni teatrali delle
sue opere, poche le radiodiffusioni. Per ironia del destino, qualche settimana
prima della sua morte la radio francese aveva trasmesso sue musiche, ma lui lo
seppe a cose fatte, e se ne afflisse moltissimo. Più
sfortunato ancora sarebbe stato con la riedizione della Medusa da parte della Rai…
Due opere
Scrisse due opere, Medusa
ed Emiral, entrambe vincitrici di
“premi nazionali”, come ricorda con amara ironia, osservando che lui, il
vincitore, rimaneva “escluso rigorosamente dagli editori, dai teatri e adesso
anche dalla Radio”. Nel 1943, poi, decise di mollare il lavoro di
giornalista per dedicarsi esclusivamente alla composizione di una terza opera.
“Comprai un pianoforte nuovo, molta carta da partitura” – ricorda, con
una tristezza che vanamente cerca di dissimulare sotto una velatura di umorismo.
“Affittai una stanza a Siena (Anche allora c’era la guerra). La mia stanza si
trovò incastrata fra i due eserciti, gli alleati e i tedeschi, e in più le
cascarono addosso i partigiani e i repubblichini. In conclusione scomparvero il
pianoforte, la carta da partitura e anche la stanza con tutte le mie robe. Così
scomparve ancora prima di nascere la mia terza opera”.
Miglior sorte ebbero, dunque, le prime due, anche se il
loro autore non smise mai di compiangerle.
La prima opera a ottenere pubblico riconoscimento fu la
sua seconda, Emiral, in un solo atto:
una storia d’amore e morte ambientata in un’Albania preistorica, con musiche
dove non è difficile cogliere il voluto sapore slavo. Composta nel 1915,
vincitrice del Premio nazionale nel 1923 (in commissione giudicatrice c’era
Puccini!), venne rappresentata al Costanzi di Roma nel 1924, con un notevole ma
non incontrastato successo.
Medusa: incerta
data di nascita
Della primogenita, quella di cui ci stiamo occupando,
confesso di non essere riuscito ad
appurare l’esatta data di nascita (va da sé che non si tratta di conoscere il giorno!) . I
numerosi riferimenti dell’autore risultano francamente contraddittori. In una
pagina di relazione di viaggio, che il ricordo commosso della composizione del
secondo atto della Medusa gli accende
in uno squarcio di poesia visionaria, l’autore conclude: “Questo sì, che si
chiamava comporre un’opera in musica, per un pubblico che non l’avrebbe
ascoltata che dopo trentadue anni”…, il che ci riporterebbe al 1906 (1938 - 32)! Ma nel Taccuino LXVI quelle indimenticabili cinque o sei notti
palermitane sono posticipate al 1911. Nel taccuino successivo, poi,
l’anno capitale risulta il 1910: “Quando lei non era ancora nato, cioè nel
1910”, polemizza con non so chi, “ho scritto la mia prima opera”. E mi fermo qui, perché la citazione
di altri passi non farebbe che aumentare la confusione. D’altra parte, la
signora Barilli, che assistette commossa alla prima bergamasca (11 settembre
1938) dice che l’opera era stata composta venticinque anni prima, il che ci
riporterebbe al 1913… Di certo sappiamo che: nel 1914 vinse il premio Mc
Cormick, nello stesso anno fu pubblicata la partitura di due frammenti (“Sia
lode a te”; “Rimango”); nel 1917 fu pubblicato lo spartito intero (canto e
pianoforte), nel 1938 (11 settembre) ebbe la prima esecuzione pubblica… Dunque
facciamo così: prendiamo il 1910 come l’anno in cui l’opera era sostanzialmente
conclusa, anche se cominciata un paio d’anni prima e certamente ritoccata in
seguito (“Scrissi le ultime battute nel 1914”).
Una foto
emblematica di Barilli
l’eterno errabondo
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Medusa: una prima a
lungo sospirata
Né il premio Mc Cormick, né la pubblicazioni dello
spartito, né la notorietà dell’autore come scrittore e temuto critico musicale
valsero all’opera l’approdo in palcoscenico.
Barilli dice che, finito di comporla, l’aveva
colpevolmente abbandonata in un cassetto. La cosa non mi sembra molto
credibile. È vero che le necessità della vita lo avevano costretto ad occuparsi
di tutt’altro, e che poi era sopraggiunta la guerra, e nel frattempo ne aveva
composta un’altra… Ma la pubblicazione dello spartito (1917), con esplicita
dedica “alla mia Daniza”, sia pure in un’edizione trasandata, certo non era
avvenuta senza suo interessamento. Forse avrebbe potuto e dovuto fare di più. O
forse avrebbe dovuto… far violenza alla propria natura, smussando l’asprezza
polemica di certi suoi interventi così da rendersi più accetto negli ambienti
musicali allora in auge…
Ad ogni modo, l’occasione tanto a lungo sospirata venne, come
già sapete, l’11 settembre 1938, in un teatro di provincia, deputato alle…
“novità”.
Quella indimenticabile serata della prima, Barilli, per
colmo di felicità, ebbe anche il conforto di avere con sé – circostanza rara –
la propria famigliola al completo. Riviviamola, quella prima, nel commosso
ricordo della dedicataria, della signora Danitza Pavlovic Barilli, che traggo
dal suo scritto La vita di mia figlia
.
“Quella sera vivemmo tutti e tre i momenti senz’altro più forti e impressionanti delle nostre vite. Il successo dell’opera, di ogni atto in particolare, fu del tutto sorprendente e inimmaginabile. Tutte le pause furono riempite da un’imponente ovazione e da chiamate e applausi. Richiamarono in scena a forza il padre di Milena un’infinità di volte.
Egli, per natura
molto modesto, non sapeva come comportarsi in quel sogno meraviglioso. Tutti e
tre eravamo pallidi come fantasmi, lui sul palcoscenico e noi fra il pubblico.
Questa emozione era troppo forte per lo stato dei nostri nervi. Milena si
tormentava le lunghe dita sottili, a me scorrevano le lacrime e mi cadevano in
grembo, e ognuna di esse cancellava il ricordo di un anno pieno di amarezze
della mia vita. Eravamo come sfiniti da una strana felicità. (Medusa era stata scritta 25 anni prima). Nessuno di noi tre poté pronunciare
nemmeno una parola, dopo la fine dello spettacolo”.
Milena Barilli
in un estroso
autoritratto del 1939
(part.)
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Il successo non
arriva
Fu per l’autore un momento di grande soddisfazione. Ma non più che un momento.
L’opera fu ripresa, infatti, una sola volta, a Napoli, in giorno bisestile (29
febbraio 1940), quasi a simboleggiarne la marginalità, un’inclusione in
cartellone in una posizione rimediata all’ultimo momento, tanto per non
mostrarsi scortesi… Il più autorevole quotidiano napoletano, “Il Mattino”, il
28 febbraio si limita a darne l’annuncio, e l’elenco degli interpreti. Il primo
di marzo, in un trafiletto a p. 4, ne registra l’avvenuta esecuzione, e si
allarga fino a ricordare che la prima aveva avuto luogo a Bergamo.
Nessun’annotazione di merito. Difficile non pensare alla congiura del silenzio
più volte lamentata da Barilli.
Scena della Medusa
al San Carlo di
Napoli
29 febbraio 1940
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Bisogna, tuttavia, aggiungere che la qualità dell’esecuzione aveva lasciato insoddisfatto l’autore stesso. “In quei giorni difficili – ricorderà nel Taccuino LXVIII – il regista era il mio peggiore amico e il direttore d’orchestra il mio miglior nemico”! Del resto, lo aveva già annotato al momento, al tempo dei “giorni difficili”: “Medusa data quest’anno al San Carlo, che è qualcosa come un circo equestre…” scrive, nel suo solito idioma privato, da appunti, (francese ortograficamente poco ortodosso picchiettato di espressioni italiane) nel Taccuino LXIII. E subito, a levare ogni sospetto di partigianeria, avverte che non ne parla come autore, ma come ammiratore. A distanza di tanti anni – dice – essa è ormai autonoma: “ha la sua indipendenza e la sua età”. Ma subito si contraddice, come un padre assalito da sensi di colpa. “Devo farla conoscere, io che l’ho messa al mondo e poi l’ho abominevolmente abbandonata e dimenticata per trentadue anni di seguito. (…) Merita che le voti i giorni e il resto della mia vita”. Ed effettivamente lottò finché ne ebbe la forza, convinto che, “un giorno o l’altro”, il suo valore sarebbe stato riconosciuto. “Fu così, che nel giro di cinque o sei notti io scrissi il secondo atto d’un’opera di cui un giorno o l’altro l’Italia musicale mi dovrà far la ricevuta”, scrive a conclusione della già ricordata lirica rievocazione delle ardenti notti palermitane che videro nascere il duetto d’amore tra Stefan e Medusa.
Come una figlia…
Un amore viscerale lo lega a questa sua creatura
primogenita, quasi sostituta della sua figliola carnale, Milena, natagli negli stessi anni di Medusa (1909), adorata ma
vissuta quasi sempre lontana da lui, eterno bohémien.
L’espressione più commovente di questo sentimento l’affidò
a un articolo del 10 aprile 1941 su “Il popolo di Roma”. Dopo avere esposto –
anche attingendo agli appunti da noi già parzialmente riportati – le ragioni
per cui tiene tanto a questa sua opera, conclude: “Spiegarmi di più non saprei.
/ È questione di sentimento. / Ma il primo beccamorto che m’impedisce di
scrivere quel che voglio, gli sputo in faccia”. Poi, accortosi d’essersi ancora
una volta lasciato prender la mano da quella franchezza che, a suo giudizio (ma si sbagliava?)
tanti guai gli aveva procurato, si affretta a chiedere “umilmente perdono”.
“Del resto”, aggiunge, “son pronto a farne ammenda fin che si vuole. / Venitemi
pure addosso.- / Non è di me che m’importa – Ma Medusa, come una figlia – Vi prego di non farle del male” (corsivo mio; e notate quella forzatura sintattica, che lascia aperte varie ipotesi
interpretative – “in quanto è per me una figlia”; “come fareste verso una
figlia”… – tutte convergenti nel sottolineare la tenerezza, e la sacralità, di
quel legame!).
Povero Barilli! Ricordate? “Lì tra quelle note scorreva
il suo sangue più genuino, e riudirle
era per lui come riattingere sangue dalle
sue stesse vene”, ricorda Falqui. E di un po’ di trasfusioni di quel sangue nei
suoi ultimi giorni avrebbe avuto urgente bisogno. “Cerca di non farla eseguire
tanto tardi, perché temo di non arrivare a sentirla” disse a Mario Labroca che,
in qualità di condirettore alla direzione centrale dei programmi della Rai gli
diceva che della sua creatura prediletta era in programma una registrazione
radiofonica. “Sarà eseguita al principio dell’estate” azzardò Labroca, cercando
di allontanare da lui quel funesto presentimento. “Ci arriverò” rispose
sollevato. E invece non ci arrivò. Morì a Roma il 15 aprile 1952. La registrazione fu effettivamente eseguita,
postuma, il 26 luglio. Da essa prenderemo le mosse nel prossimo post. Ne
vale la pena!
Bruno Barilli
con la
figlia Milena |
Riconoscimenti:
- riprendo il passo di Danitza Pavlovic Barilli da Adele Mazzola, Aquae Passeris: la vita di Milena Pavlovic Barilli, p. 56;
- il ritratto di Barilli e la foto di B. con la figlia sono ripresi da wikisource.org;
- la foto di Barilli errabondo è ripresa da Rodolfo Dini, Poesia magica di BB;
- scena della Medusa, foto Istituto Luce;
- l'autoritratto di Milena è di proprietà della "Milena Pavlovic Barilli Galerija" di Pozarevac, Serbia.
- riprendo il passo di Danitza Pavlovic Barilli da Adele Mazzola, Aquae Passeris: la vita di Milena Pavlovic Barilli, p. 56;
- il ritratto di Barilli e la foto di B. con la figlia sono ripresi da wikisource.org;
- la foto di Barilli errabondo è ripresa da Rodolfo Dini, Poesia magica di BB;
- scena della Medusa, foto Istituto Luce;
- l'autoritratto di Milena è di proprietà della "Milena Pavlovic Barilli Galerija" di Pozarevac, Serbia.