Giovane musicista
o
Principe di
Bassiano?
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Un musicista ignoto dal nome
illustre
Il cognome Caetani è tra i più noti della storia
d’Italia, non fosse altro che per il famoso
papa Bonifacio VIII, cui Dante attribuiva le sventure sue personali e
quelle della sua città (e non senza ragione, per cui – da ammiratore del fiero
“ghibellin fuggiasco” – io preferirei qualificarlo famigerato più che famoso!). Pochi, invece – anche nell’ambito
musicale – conoscono l’ultimo esponente del casato, il musicista Roffredo
Caetani, principe di Bassiano, duca di Sermoneta. Lo ignorano le storie della
musica: non soltanto quelle più allineate alla furia innovazionista, come il
manuale (in 3 voll!) di Cannarozzo e Cimagalli, ma anche il diffusissimo
Massimo Mila; e persino Giulio Confalonieri, che pure in una conversazione alla
Radio (1950) aveva registrato lo strepitoso successo a Basilea dell’Isola del sole, e ne aveva esaltato “la scrittura elegante”, la “costruzione musicale, salda e variata”,
il “melodismo
vocale ch’è intenso e comunicativo senz’essere mai enfatico o facilone”. Lo
ignorano persino i repertori o dizionari enciclopedici, da quelli più modesti
(la Garzantina, Allorto e Ferrari) a quelli più ponderosi. Invano lo cercherete
nel Dizionario enciclopedico dell’opera
lirica (ed. Le lettere), inutilmente nel monumentale Dizionario della musica e dei musicisti (Utet: 8 voll. di grande
formato!) o nei 17 voll. di grande formato dedicati alle biografie della
tedesca Die Musik in Geschichte und
Gegenwart. Un po’ più di fortuna avrete inoltrandovi nella foresta dei 29
voll. del New Grove Dictionary. Nel IV troverete un trafiletto di Raffaele
Pozzi, da cui apprenderete che «il suo piccolo ma actractive corpus di opere è orientato verso le forme strumentali
ottocentesche, in particolare quelle tedesche».
Eppure è un musicista di valore, riconosciuto, almeno
all’estero, già ai primi del secolo. Persino in un ambiente all’epoca viziato
da nazionalismo e normalmente ostile alla musica italiana com’era quello
francese. Le Figaro (26 maggio 1903) gli
riconosce «scrittura
elegantissima ed elevatezza d’ispirazione»; «vi s’intravede una natura italiana
naturalmente melodiosa, ma affinata dalla frequentazione dei grandi maestri
classici e moderni». E arriva addirittura a formulare l’ipotesi che proprio da
questo «connubio
della franca e chiara melodia con la scienza armonica e strumentale» possa
nascere nel futuro «una novella fioritura
musicale». Auspicio forse un po’ troppo
ottimistico, ma che sembrerebbe condiviso, ancora una ventina d’anni dopo, dal
critico musicale della Vossische Zeitung, Max Marschalk, nella recensione alla
prima weimariana dell’Hypatia. E,
sempre in Germania, l’editore Schott di Magonza pubblica le sue opere,
evidentemente riconoscendo loro un valore anche commerciale.
E allora? Perché questa… emarginazione? Cercheremo una
risposta a conclusione di questo post. Prima è opportuno dare uno sguardo sintetico
allo svolgersi della sua esistenza.
Una vita tutto
sommato serena, ma segnata da una grande sciagura
Roffredo giovinetto
(notare la posa
imitativa)
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Dopo aver studiato con Sgambati, De Sanctis e Tachinardi,
Caetani, desideroso di allargare i propri orizzonti culturali, si reca a
Berlino (fine novembre 1893 – fine aprile 1894), dove frequenta concerti,
studia Schiller e Goethe, sviluppa simpatie per il buddismo e la filosofia di
Schopehauer, compone un paio di opere strumentali e progetta una trilogia dal Ramayana (una passione, questa per la
letteratura indiana, che – a mio parere – si alimenta dei contemporanei
progressi negli studi di “grammatica comparata” e che, per limitarci solo a
qualche esempio in campo musicale, ritroveremo nella Figlia del Re di Lualdi e in Sakùntala
di Alfano). In tanto fervore di studi e di opere, poco tempo gli resta per i
ricevimenti mondani. (Pare abbia fatto un’eccezione per una cena col Kaiser
Guglielmo e consorte).
Da metà ottobre 1894 trascorre un paio di mesi a Vienna,
riportandone una delusione. A Vienna, dice, si fa musica solo per divertire…,
niente Wagner! Si consola con l’amicizia di Brahms (“la gentilezza in
persona”), che però non condivide il suo entusiasmo per il creatore dell’Anello del Nibelungo.
Con il 1897, sostanzialmente concluso il periodo più
propriamente formativo, comincia un periodo compositivo se non frenetico, certo
piuttosto intenso: metà della produzione musicale di Caetani si situa a cavallo
tra due secoli, tra il 1897 e il 1905 . Poi rallenta.
La composizione dell’opera che qui ci interessa, Hypatia, (v. introduzioni storiche qui e qui) è frutto di una lunga
elaborazione. La stesura del libretto (che Caetani cura in proprio,
sull’esempio dell’ammirato Wagner) dura abbastanza a lungo (appare nel 1910,
preceduto – 1908 – da una versione in francese), certamente anche per la
necessità di studi preparatori in campo filologico, storico e filosofico (v. riassunto). Ancora più impegnativa, ovviamente, la composizione musicale.
Lavoro, peraltro, intralciato da incombenze di altra natura.
Nel frattempo,
infatti, l’ormai affermato musicista aveva trovato moglie, l’americana Marguerite
Chapin. Roffredo la conosce a Parigi, dove lei studia canto, la sposa a Londra,
e la porta a vivere a Versailles (1911), in quella Villa Romaine che presto diventerà luogo d’incontro e discussione di
letterati e artisti.
Miss Marguerite
Chapin
nell’intimità della
sua abitazione parigina
al tempo in cui
conobbe Roffredo Caetani
(Vuillard, 1910)
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Altra ‘distrazione’ dal lavoro attorno a Hypatia è la guerra (Caetani vi prende
parte, volontario, da maggio 1916 ad agosto 1917). Ad ogni modo, nel 1918 la
partitura dell’opera è ormai completa, ma per la pubblicazione dovrà aspettare
il 1924. E solo due anni dopo vedrà, finalmente, la prima esecuzione (Weimar
1926), coronata da successo di pubblico e critica (sia pure non senza qualche
riserva).
Nel frattempo l’attività compositiva del musicista langue, probabilmente ostacolata da altri interessi. Tra l’altro, va ricordato che l’entusiasmo attorno agli incontri letterari di Villa Romaine aveva convinto la signora Caetani a fondare una rivista letteraria (Commerce, 1924) che dirige personalmente – certo con la discreta ma solerte collaborazione del marito – fino al 1932, quando il principe decide di trasferirsi con la famiglia nel castello di Ninfa, presso Sermoneta. La sua attività principale, in questo periodo, è probabilmente l’amministrazione del patrimonio familiare.
Nel 1939 un primo, importante riconoscimento ufficiale:
la nomina ad accademico di Santa Cecilia. Breve soddisfazione, presto offuscata
da un’immane sciagura. Il 15 dicembre 1940, sul fronte d’Albania, cade, a 25
anni, Camillo Caetani, suo unico figlio maschio, mettendo così fine a una
dinastia che per almeno otto secoli aveva influito, nel bene e nel male, nella
storia d’Italia.
Il tremendo lutto viene lentamente elaborato. Il 30
gennaio1943, il Teatro dell'Opera di Roma esegue L'isola del sole. A fine guerra la famiglia si
trasferisce a Roma, nello storico palazzo del casato, in Via delle Botteghe
Oscure. Riprendono gli incontri artistico-letterari, ancora una volta animati
dalla signora Caetani che dà vita a una nuova rivista (Botteghe Oscure) che ospiterà scritti
di molti tra i principali autori dell’epoca (Tomasi di Lampedusa, Arpino,
Anna Banti, Bassani, Calvino, Cassola, Dessì, Carlo Levi, Silone, Pratolini,
Soldati, Petroni, Moravia, Brancati, Saba, Montale) oltre a scrittori francesi
e anglo-americani.
Nel 1958
ebbe il conforto di vedere trasmessa in Italia (domenica 19 gennaio, terzo
programma della radio) la sua indimenticabile Hypatia, diretta da F. Previtali. Nell’intervista concessa per l’occasione
alla scrittrice e giornalista Liliana Scalero il compositore ormai
ultraottantenne rivela il desiderio di continuare a scrivere (“dei piccoli
pezzi sacri e un po’ di musica da camera”. Non so se riuscì a realizzare il suo
proposito. Morì solo tre anni dopo (11 aprile 1961), non a Roma come
comunemente si crede, bensì a Ninfa, dove si era ritirato. L’Accademia Filarmonica Romana
volle onorarne la memoria con un concerto in cui furono eseguite la Sonata per violino e pianoforte, le Dodici variazioni su Chopin e il Trio per pianoforte, violino e violoncello.
Perché sconosciuto in Italia
Il problema se l’era già posto Vito Raeli
nel 1943. Nella prima parte di un articolo dedicato alla prima dell’Isola del sole, Raeli distingue, accanto
ai musicisti professionisti (che esercitano l’arte per guadagnarsi da vivere),
la categoria dei “musicisti non
professionisti”, i cosiddetti “dilettanti” in senso nobile. E aggiunge:
«Da qualche tempo,
in particolare nel settore della cronaca e della critica giornalistica, si nota
il ripetersi ad ogni occasione, del piglio ostentatore di una tal quale
indifferenza, quasi anzi il proposito di non fare attenzione – e quindi di
tacerne o di discorrerne appena un tantino e senza molto impegno o
approfondimento, e pertanto con pochissimo e nessun rispetto – delle opere di
musicisti non di professione».
Questo atteggiamento, diffuso quanto ingiustificato,
spiegherebbe il contrasto, riscontrato alla prima dell’Isola del sole, tra il favore del pubblico e le riserve di alcuni “frettolosi giudizi critici”. E non manca
di sottolineare che Hypatia, nonostante
il notevole successo ottenuto a Weimar e in altri due teatri stranieri, non era
mai stata eseguita in Italia.
Un’altra spiegazione potrebbe essere suggerita da una
lettera di Bruno Walter. Stando a quanto riferito da Luigi Fiorani, il celebre
direttore d’orchestra, sollecitato a rappresentare Hypatia all’Opera di Vienna, avrebbe risposto negativamente perché
«il senso di musicalità elementare del pubblico che frequenta il teatro esclude
che possa godere a pieno di un’opera che può essere eseguita soltanto sotto
particolari presupposti».
Ora, è vero che la creazione di Caetani non è di immediata accessibilità né per
il testo né, ancor meno, per la musica. Tuttavia il successo di Weimar
testimonia, a mio parere, che si tratta di una scusa diplomatica (peraltro, non
so quanto credibile, e creduta!). E, d’altra parte, la vera o presunta
difficoltà della sua musica potrebbe, forse, spiegarne la scarsa popolarità,
non il silenzio degli addetti ai lavori. Si pensi a Busoni, di qualche anno più
anziano, anche lui più incline alla musica strumentale e interessato a
qualunque segno di innovazione: lo ignora completamente; salvo errore da parte
mia, non c’è traccia, in nessuno dei suoi scritti, del nome di questo suo non
trascurabile collega.
Per quanto mi riguarda, io direi che la ragione più
fondata sia quella esposta da Raeli: in
sostanza, la sua qualità di outsider – come si direbbe oggi. Ad essa si potrebbe aggiungere il lungo
tempo trascorso all’estero, la sua predilezione per generi
strumentali, il fatto che i primi successi d’importanza internazionale li avesse
ottenuti a Parigi (anche per il solerte interessamento dell’influentissima
contessa Greffuhle, come egregiamente dimostrato da Mariantonietta Caroprese). E, non
ultima, l’aristocratica riservatezza del duca, felice del successo ma restìo a
ricercare appoggi e notorietà.
Camillo e Lelia
Caetani
(Vuillard, 1921)
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Riconoscimenti:
- la
bibliografia da me consultata è abbastanza vasta; in questa sede devo limitarmi
a citare, tra i contributi più recenti, i saggi contenuti nei «Quaderni di
Ninfa /3» (Latina 2011) e, particolarmente importante, il volumetto Roffredo Caetani. Un musicista aristocratico,
Atti della «Giornata di studio» (Latina, 23 nov. 2012), curato da
Mariantonietta Caroprese, che ne firma anche il primo saggio (Appunti sulla formazione musicale e sull’itinerario
artistico dell’ultimo duca di Sermoneta).
- le foto sono tratte
dal sito della Fondazione Roffredo Caetani (I, III e IV), dal citato numero dei
«Quaderni di Ninfa» (II e V), dagli Atti della «Giornata di studio» (VI).