martedì, ottobre 08, 2019

Caetani, Hypatia. Riassunto e analisi del libretto



donna triste - ritratto femminile da el Fayum
Ritratto femminile da El Fayyum
(già lo conoscete dal post precedente). 
L’espressione del viso fa pensare alla sua
sfortunata conterranea.

Dopo due post precedenti, dedicati il primo al personaggio storico di Hypatia, e il secondo alla sua tragica fine, ecco ora il riassunto del libretto in cui quella fine è, dallo stesso musicista, poeticamente rielaborata in funzione del rivestimento musicale che la tradurrà in “dramma lirico in tre atti”.


Atto I, [sc. I]

“Terrazzo su una torre del palazzo tolomaico”, da cui vista su tutta Alessandria e sul mare inondato di luce. Quasi al centro Cirillo, il patriarca, “seduto in cattedra” come un monarca orientale.
Giunge Eudocia, madre di Oreste, prefetto (cioè governatore) dell’Egitto. Viene da Efeso, obbediente all’ordine di Cirillo. T’ho convocata – dice il patriarca – per un incarico di estrema importanza: convincere tuo figlio, in guerra con me per via della cacciata “di quei figli irrequieti d’Israele”, a rifare pace. Oreste – spiega – soggiace al malefico influsso della bellissima Hypatia, coltissima e punto di riferimento di un piccolo gruppo d’irriducibili pagani. Basterà che ti rechi oggi stesso a quella candida casetta di lei, laggiù, tra gli alberi, per chiederle di usare il suo ascendente sul prefetto per indurlo alla pacificazione, minacciando, in caso d’insuccesso, di abbandonarla al furore del popolo cristiano.


Atto I, scenario II

Delizioso giardino. Sul fondo la casa di Hypatia, preceduta da portico. Sulla sinistra, immersa nel verde, l’esedra, ornata dei tre numi tutelari della padrona: le erme di Omero, Pitagora, Platone. Ed eccola, di ritorno dal mare, dove si è bagnata.  Accompagnata da bambini e ancelle, seguita da amici, tra cui Oreste, accolta con gioia dal padre e dal di lui amico Ercoliano.
Attinge a piene mani fiori portati da fanciulli e ragazze e ne orna l’erma di Omero. Spiega a Oreste, che non si capacita della sua perenne devozione a “quel marmo”, che ogni volta che guarda l'immagine dell'antico poeta si sente invasa dal “delirio”, dall’“estasi ineffabile” di chi accoglie in sé la bellezza. E alla bellezza eternamente giovane – la poesia di Omero, i fiori, il mare, il vento, il canto degli uccelli… (“ È  Pan, l’eterno!”) –  scioglie il suo inno (testo e commento nel prossimo post). Un canto di riconoscenza al Re dell’Universo, al Dio che crea il mondo rivestendolo della sua bellezza.
Alla statua confida la sua pena: ormai non spera più di poter realizzare il suo sogno d’amore: estinta è la generazione degli eroi, per sempre estinta. Risentimento di Oreste, che le ricorda il suo amore e il suo ardimento. Hypatia malinconicamente gli ricorda la chiusura del Serapeo, in obbedienza all’editto imperiale, e il divieto di accedervi. Ma quel divieto lei lo infrangerà. Proprio là, tra quelle rovine, radunerà i superstiti fedeli agli antichi valori.

Giunge Izèbel, l’ebrea convertita, cameriera di Eudocia. La sua padrona – annuncia – vuol parlare a Hypatia, su mandato di Cirillo. Oreste ammonisce l’amica: attenta, potrebbe essere una maga, un’avvelenatrice. “Oreste?!” esclama Izèbel, sentendolo appellare così da Hypatia. “O signore / non bestemmiar…/ ella è… tua madre!”. Lei uscita, Oreste chiede di poterla ricevere da solo. Hypatia acconsente, esortandolo a essere gentile.

Altri, non me, ten vai cercando” – risponde a Eudocia che lamenta la fredda accoglienza del figlio.   So che sei irretito dal fascino e dalle arti magiche di Hypatia – ribatte, e lo esorta a far pace con Cirillo, rinunciando a proteggere gli ‘elleni’ (cioè i pagani), gli ebrei e gli eretici. E poiché Oreste insiste che è disposto a far pace, ma senza accettare altre condizioni, “Sappi” – gli rivela – che se non lo farai, “insorgeranno i servi / di nostra chiesa, e gitteranno in quella / impura casa il fuoco”. Inorridito, Oreste lo grida agli “elleni” sopraggiunti, seguiti dai “galilei” (i cristiani) capeggiati da Ammonio. In cori contrapposti, elleni e galilei si lasciano andare a provocazioni e insulti reciproci.

Richiamata dal volgare baccano, esce Hypatia. Oreste la informa delle intenzioni di Cirillo. “Se non ti penti e ti sommetti a lui!” corregge Ammonio, il fanatico braccio destro del patriarca. Di fronte alla reazione sdegnata di Oreste, Ammonio prende una pietra e si scaglia contro di lui. Trafitto dalla spada del prefetto, muore (non proprio cristianamente!) invocando vendetta. Grida d’approvazione dei pagani, promessa d’inesorabile vendetta da parte dei cristiani. “Ancora sangue!” deplora Hypatia desolata.


Atto II, [sc. I]

Cameretta malamente illuminata da una lucerna. In un lettino giace Eudocia, in ansiosa attesa di Oreste.  Giunge, “avvolto in un manto nero”, Pietro, il lettore, messaggero di Cirillo. Se Oreste non cede, Hypatia e i suoi saranno massacrati. Eudocia inorridisce: “Iddio” – dice saggiamente – “non vuole i corpi de’ nemici suoi / ma l’anime pentite”.  È necessario ucciderla – spiega il lettore:

… Lei spenta,
d’incanto vaniranno gli avversarȋ
nostri, quali ombre a lo sparir del fuoco;
poiché del mondo antico,
costei è la sola fiamma che arda ancor.

Ma come? – chiede sgomenta Eudocia – Cirillo vuole la sua morte?! Pietro non risponde alla domanda. Si limita a farle sapere che folle di monaci si aggirano per la città, apertamente minacciando morte alla “meretrice immonda”. Questa è, per Oreste, l’ultima chance – conclude. Se non si sottometterà, Cirillo ti ordina di accendere una fiaccola ed esporla alla finestra, prima che lui possa giungere a tentare di salvare Hypatia. Solo così, forse, potrai salvarlo dall’imminente strage.

Giunge Oreste. Colloquio penoso: Eudocia è convinta che il figlio sia sotto il fascino malefico di Hypatia, Oreste è sicuro che la madre sia plagiata dalle arti del vescovo, quel Cirillo che “per sete di dominio, / avvolge d’odio chi non gli si prostra”. Alla fine Eudocia, convinta dell’irrimediabile perdizione del figlio, lo disconosce, affidandolo a Dio. Solo gli chiede la promessa che, almeno per stanotte, starà lontano da Hypatia: non vuole morire figurandoselo insieme con la maledetta.
Partito Oreste, Eudocia invoca la vendetta di Dio e ordina all’ancella di esporre la fiaccola, ma questa rifiuta e fugge per tentare di salvare Hypatia. La espone Eudocia di persona, scatenando la folla inferocita, già radunata sotto casa.

Atto II, Scenario II

Notte, tra le gigantesche rovine del tempio di Serapide, abbattuto per ordine di Teodosio. Hypatia ha mantenuto la sua sfida. Proprio qui, tra queste imponenti rovine interdette ai devoti dell’antico culto, e da tempo abbandonate, si sono radunati, su suo invito, i pochi alessandrini rimasti fedeli alle antiche divinità. E qui, all’insolita luce di torce e fuochi votivi, si svolgerà un rito misterioso, seguito e condiviso da una variopinta folla in festa. 

scorcio notturno del tempio di Venere e Roma
Nulla, ch’io sappia, è rimasto dell’Alessandria greco-romana.
Delle imponenti rovine del Searapeo, teatro della ‘sacra rappresentazione’ di Hypatia,
può forse dare un’idea questo scorcio notturno del Tempio di Venere  e Roma.


Preceduta da musici e sacerdotesse in abito purpureo, entra Hypatia, vestita di bianco e coronata di fiori, seguita da persone addette al culto, da Teone e filosofi, da gente del popolo. Sale i gradini di quel che resta dell’antico altare, e prega Dio, concepito in termini neoplatonici. Quindi si rivolge alla folla, invitando al coraggio e alla forza necessari per sostenere la lotta scatenata dai cristiani.

Il rito appena cominciato è interrotto da un inquietante rumore di armi. No, non sono i temuti galilei; è Oreste, scortato da guardie unne, accolto con esultanza dagli elleni, che gli chiedono protezione. Tenero colloquio tra i due, interrotto dal sacro araldo, che invita tutti al silenzio e a spegnere le fiaccole. Hypatia si ritira, Oreste si accosta all’altare, scosso dalla dolorosa visione della madre corrucciata. Buio.

Riprende il rito religioso, una iniziazione – voluta da Hypatia – “al sacro e arcano senso / del flusso de la vita e de la morte”, necessaria a sostenere lo scontro imminente.  Presto ci accorgiamo che ciò che si sta svolgendo sotto i nostri occhi è una sorta di “sacra rappresentazione” pagana: la solenne commemorazione del millenario momento di reincarnazione delle anime, ripreso pari pari dal platonico mito di Er.

Nel buio si odono voci. Sono le anime provenienti dal Tartaro, di coloro, cioè, che hanno concluso la lunga espiazione delle colpe commesse nella vita precedente (Coro I). Specularmente rispondono le anime scendenti dal Cielo, premiate per la saggia condotta nella vita terrena, e ora destinate a nuova prova (Coro II). Ed ecco un raggio di luce bianchissima, verticale su Hypatia, illumina la scena. Su un trono, al centro, vediamo assisa lei, Hypatia, nelle vesti auguste della Necessità. Attorno a lei girano, a passo di danza, mime disposte in otto cerchi concentrici a rappresentare le orbite dei corpi celesti. Di fronte  alla Necessità stanno i troni delle Parche (Cloto, Lachesi, Atropo).
Dileguatesi le mime, entrano in scena, dai due lati, le anime dei purificati e quelle dell’empireo: si fondono accogliendosi come chi si rivede dopo lunga assenza (lunga un millennio, infatti!). Lo jerofante (propriamente interprete e guida del rito) prende manciate di spighe dal grembo di Lachesi e le sparge al suolo. A turno le anime scelgono ciascuna una spiga (il destino che determinerà la nuova vita!), poi, dal grembo di Lachesi, una sferetta luminosa, simbolo del genio tutelare che le assisterà nella vita incipiente. Ciò fatto, si dispongono attorno al trono della Necessità, ritta in piedi e con le braccia verso di esse. Quindi, all’invito delle Parche, tutte si dirigono verso la pianura del Lete, mentre la Necessità si inabissa lentamente.

“Sàlvati, Hypatia, sàlvati!” – grida Izèbel irrompendo sulla scena. A Oreste rivela che i fanatici cristiani hanno giurato di uccidere la donna e sono già qui. Si avanza Pietro, che promette salvezza a tutti purché gli sia consegnata “la scellerata”. Ma Oreste con le sue guardie e i pochi elleni non fuggiti li ricaccia verso il fondo, mentre donne e bambini accorrono intorno a Hypatia. Voci femminili annunciano che i “parabolani” (tra i cristiani quelli di più ottuso fanatismo) incendiano le case. Hypatia le rassicura: se il prezzo della salvezza è il suo sangue, è pronta a versarlo. “L’Ellade muore” – conclude desolatamente il canto – o pianto – delle donne.


Atto III

Piazza d’Alessandria. A sinistra la chiesa del Cesareo, a destra la casa di Oreste. Notte. La chiesa è aperta e illuminata. Fedeli inginocchiati sui gradini e anche nella piazza.

Pietro incita la folla di fedeli (che reclamano vendetta per Ammonio), esortandoli a non lasciarsi ingannare dall’aspetto seducente della nemica. Eccitati e furiosi, si disperdono urlando verso il fondo, in direzione dei giardini imperiali.

Entra in scena Hypatia, ancora con gli abiti rituali dell’atto precedente, seguita da Izèbel che inutilmente la esorta a fuggire. Giungono elleni con pessime notizie. Tra essi Teone, che scongiura la figlia a partire: una nave è pronta a portarli lontano. Urla remote e suon di corni fanno credere a Hypatia che Oreste abbia vinto; invano alcuni avvertono che sono i galilei. Qualcuno afferra Teone e lo trascina lontano dal pericolo.

Giungono marinai e schiavi ubriachi, preceduti da Jerace. Le due donne si ritirano verso il pozzo, posto in primo piano sul lato destro della scena. Alcuni riconoscono Hypatia e vorrebbero metterle le mani addosso; altri (ariani) chiedono perché. Perché – spiega Jerace – a quanto si dice, è per i suoi filtri magici che Oreste è nemico dei cristiani. I due gruppi litigano. Izèbel ne approfitta per spingere Hypatia nel Cesareo, mentre lei resta fuori, richiudendo la porta.

Ed ecco i cristiani, guidati da Pietro. Riconoscendo Izèbel, il caporione la minaccia di morte se non svela il nascondiglio di Hypatia. Spaventata, la donna indica l’abitazione di Oreste. I cristiani accorrono intenzionati a incendiare la casa quando, vestito di nero e pastorale in mano, appare Cirillo. Rimprovera Pietro per l’attentato alla dimora del prefetto. “Signor… – gli risponde – la donna / che per incarco tuo cerchiam… lì entro / s’è rifugiata”.  
Ma ecco Oreste. Ardente di sdegno, attraversa impavido la folla e affronta Cirillo, accusandolo di aver ucciso una donna per colpirlo. Non per odio mi son mosso contro di lei – gli risponde il vescovo – “ma perché in essa alligna / la radice del mal che ci divide!”. Ad ogni modo Hypatia è viva, rifugiata nella tua casa, in mio potere. Ho vinto – dice – ma voglio essere clemente. Ella sarà salva, purché parta immediatamente per l’esilio. Oreste nega, ma Cirillo ne ha intuito la disperazione interiore. Messagli paternalisticamente una mano sulla spalla, entra nella casa, seguito dallo sconfitto.  “Hypatia!” grida Oreste. La filosofa ode il richiamo dal suo rifugio e appare sulla porta della chiesa, serena, illuminata da un raggio di luna. Oreste – le dice Pietro – è entrato in casa insieme con Cirillo per annunziarti che avrai salva la vita in cambio dell’esilio. Hypatia non vuole, non può crederci. Nondimeno, “Son pronta a morire – esclama – ma prima di farmi abbandonare la mia città natale dovrete  svellermi le membra ad una ad una!”. Si riode il richiamo di Oreste. Hypatia risponde e si slancia verso l’abitazione. La folla cede, si apre… “Muoia!” grida qualcuno.  La massa inferocita si rinserra intorno a lei, ingoiandola. Piomba come un fulmine su quell’ammasso omicida Oreste, scindendolo. Troppo tardi. Lo vedremo riemergere sorreggendo tra le braccia il corpo inerte di Hypatia. “Ohimè! C’han fatto!... / Oh forsennati!” deplora il patriarca uscendo dalla casa.

Hypatia! Hypatia!” – compiange Oreste; “[…] Troppo splendevi a gli occhi di costoro; / perciò t’odiavano! Ad un’antica dea troppo eri simile… / perciò t’infransero…”.
La colpa è sua! / Falsa, al par de’ suoi falsi dei, fu essa!” – insulta il tristo lettore. Che paga sull’istante, trafitto dal prefetto, la sua temeraria impudenza.

L’anàtema su chi di voi si muove!” – grida il patriarca alla folla inferocita che vorrebbe linciare il prefetto che, incurante del pericolo, è assorto nella contemplazione della donna distesa al suolo. Poi, rivolto a Oreste, giura di non aver voluto lui la morte della donna, e gli ripropone la pace. “L’odio, l’odio furente come l’Idra / Oreste t’offre in cambio!” – risponde. E, rinfacciatogli ancora una volta l’assassinio, dà il suo addio alla “città maledetta”, votata alla tirannide, lasciandole, a perenne memoria, la sua spada insanguinata.
La folla, seguita da Cirillo e dai tedofori, porta in processione il corpo di Pietro dentro la chiesa. La porta si richiude. La scena rimane vuota e buia.

Tornano ad ardere le stelle. Hypatia, agonizzante, rialza il capo a contemplarle ancora una volta. Il loro lucore sbiadisce gradualmente, sopraffatto dalle fosche fiamme degli incendi appiccati dai cristiani. A quella luce sinistra diventa visibile a Hypatia (e agli spettatori) l’immagine bizantina del Redentore sulla facciata della chiesa.

Oh uomo, o dio… per te che son? Perché…
perché mi fissan gli occhi tuoi in tal modo…
perché son essi lacrimosi e tristi?
È forse per pietà… di me… che piangi…?
 
Sono le ultime parole di quella donna meravigliosa, vittima del fanatismo ignorante. “Ella muore. – dice la didascalia – I battenti de l’ecclesia si aprono lentamente e ne esce una luce che cade sul corpo d’Hypatia”. Evidentemente a indicare che il Redentore è con lei, non con gli assassini. E sarebbe stata una splendida conclusione. Ma l’autore fa risuonare un coro interno:

O Signor, cos’è l’uom, che n’abbi cura?
Cos’è il figliuol de l’uomo
che tu ne faccia conto?
Simile a vanità
è l’uomo; i giorni suoi son come l’ombra
che passa.

Lo scopo, certo, è quello di proiettare la tragedia d’Ipazia sullo sfondo della miseria umana. Ma, a mio modesto parere, è una conclusione alquanto scontata, e anche un tantino incongrua, messa in bocca a un coro di bruti che dell’umanità ha appena fatto scempio.


Spunti di analisi

La lunghezza del riassunto – necessaria a una visione chiara e completa della trama e delle motivazioni e carattere dei personaggi – m’impone, in sede di analisi, di limitarmi a qualche spunto, che il lettore potrà sviluppare in proprio.

a) la storia

La composizione del libretto fu preceduta, da parte dell’autore, da studi e ricerche accuratissime. Il frutto di queste fatiche è facilmente rilevabile nella precisa collocazione dei fatti sullo sfondo della turbolenta Alessandria dell’epoca (e, a un livello più alto, nel quadro del trionfo del cristianesimo sulla civiltà pagana); nella altrettanto precisa collocazione ideale della protagonista nella filosofia neoplatonica, e, soprattutto, nel rispetto dei dati storici essenziali.  È questo che gli consente, circa l’inevitabile nodo problematico della responsabilità diretta del patriarca, una scelta equlibrata, che si traduce nel lasciare il problema irrisolto. Alla precisa domanda di Eudocia, Pietro non dà risposta.  È vero che, poi, al vescovo designa Hypatia come “la donna / che per incarco tuo cerchiam”, ma l’ordine di cercarla non implica quello di ucciderla, e, meno che mai, di farne strazio.  E, d’altra parte, il patriarca giura, in un momento solenne che renderebbe mostruoso un falso giuramento, di non aver voluto lui la morte della donna. Sempre per bocca di Pietro viene invece individuata con precisione – a mio modo di vedere – la vera causa della morte della filosofa: non quella, ridicola, dell’invidia, ma la protezione che – tramite l’amicizia del prefetto – ella esercita sui superstiti pagani. E dunque, in definitiva, l’insanabile conflitto ideale.

b) Hypatia e Oreste: due sconfitti

Nobilissima la figura di Hypatia, sintesi e personificazione di una civiltà splendida ma ormai al tramonto. «Del mondo antico – dice giustamente Pietro – costei è la sola fiamma che arda ancor».  Una sopravvissuta, certo, ma ben risoluta a non abbandonare la lotta.
Nonostante l’affetto e la stima di cui la circondano i suoi partigiani, è sostanzialmente sola. I pagani superstiti si affidano a lei, ma non sono in grado di difenderla dalle orde di monaci fanatici e risoluti, e dall’isteria della plebaglia che li segue. Oreste ne è innamorato e cerca di aiutarla, ma in fondo nemmeno lui la capisce (e la donna ne è ben consapevole): troppo alti gli ideali di lei, troppo lontani dalla meschina realtà quotidiana.
Hypatia lotta sino alla fine, accettando di pagare con la vita la fede nella cultura e l’attaccamento alla sua un tempo splendida città natale: se volete cacciarmi – dice con tragica preveggenza – dovete prima svellermi le membra ad una ad una! Oreste, a sua volta, scopertosi disarmato e impotente di fronte al fanatismo ignorante e isterico, schifato e disperato abbandona patria e potere.

c) la forma

Il testo è redatto in versi, prevalentemente endecasillabi con inserzione frequente di settenari e, più raramente, di quinari. Lingua caratterizzata da una patina arcaizzante che contribuisce a sollevare la materia in un’aura di ieratica maestà, degna dello scontro finale di due mondi, l’uno al tramonto, l’altro nel momento della sua vigorosa ascensione.

Nel complesso, a mio modesto parere, un ottimo libretto, funzionale al suo ufficio di supporto o, meglio, di componente poetica del dramma in musica, dotato esso stesso di valore autonomo. Geniale, in direzione della wagneriana “opera d’arte totale” (Gesamtkunstwerk), l’inserzione del mito di Er. Nelle mani di un bravo coreografo, rispettoso del testo e della sua funzione (più che della propria narcisistica vanità), può diventare un momento di eccezionale spettacolarità, oltre che di profondo significato filosofico.

mosaico ravennate del Buon Pastore
Quanto più rispondente al Vangelo questa mite immagine di Cristo buon pastore
piuttosto che quella violenta e vendicativa dei fanatici alessandrini!
Eppure l’anonimo mosaicista ravennate la compose solo qualche decennio dopo l’assassinio di quella
adorabile filosofa, prediletta da Dio”!

9 commenti:

  1. Articolo davvero interessante ed esaustivo. Conosco l'opera a memoria ma sono da anni in disperata ricerca del libretto. Perlomeno grazie a lei sono riuscita a risalire a qualche informazione in più.

    RispondiElimina
  2. Se lei ricapita su questo post, accetti il mio ringraziamento per quanto tardivo. Purtroppo da parecchi mesi sono impegnato su altri fronti che non mi hanno lasciato tempo di prendermi cura del blog. Del libretto non dispongo nemmeno io: l'ho avuto - non so più se in prestito o in lettura - dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Oggi è il primo giorno del 2023: le auguro un anno pieno di gioia e serenità. Non so nulla di lei, ma una persona che conosce quest'opera a memoria non può che suscitare in me stima e simpatia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono una studentessa venticinquenne di Storia e filologia classica (che si trova anche ad essere monaca di clausura, per cui sto parzialmente trasgredendo alla Regola per risponderle, ma lo ritengo doveroso), e ho conosciuto l'opera anni fa perché... sono devotissima a san Cirillo di Alessandria, per quanto possa suonare strano. Negli ultimi tempi sono stati messi in rete anche diversi musical su di lui e su Ipazia e ho seguito tutto perché mi affascina come questa vicenda sia stata continuamente interpretata e reinterpretata nei secoli. Io stessa alcuni mesi fa ho girato un lungo documentario in cui ho però illustrato solo una piccola parte dei prodotti culturali dedicati a questa storia. L'opera di Caetani mi sembra comunque la migliore fra quelle che ho ascoltato (l'ultima opera composta risale a pochissimi anni fa ed è in inglese). Ricambio gli auguri per un proficuo 2023, ricco di sorprese e di scoperte!

      Elimina
  3. Il suo augurio di un 2023 “ricco di sorprese e di scoperte” ha già cominciato a dar i suoi frutti: grande sorpresa è stata la sua risposta, oltre che per i motivi più ovvii, anche perché non era facile prevedere, nell’attuale atmosfera ideologicamente intossicata, la risposta di una persona (addirittura di una donna: uh, le femministe si tapperanno gli occhi per non vedere tanto orrore!) apertamente schierata a fianco del Vescovo alessandrino. Questo mi incoraggia ad ardire di pregarla ancora di un paio di risposte. Anzitutto mi piacerebbe sapere se, e come, è possibile accedere al suo documentario. E poi, proprio per la sua posizione di partigiana di Cirillo, sarei particolarmente interessato a conoscere il suo giudizio sulla mia ricostruzione delle responsabilità nella morte d’Ipazia. Mi rendo conto che la mia preghiera potrebbe, a rigore, metterla in imbarazzo con la “Regola”, ma sono sicuro che san Cirillo intercederà per lei! Anche perché sono convinto che, pur non di parte, e obbedendo solo al proposito di render giustizia alla verità, io abbia finito col render giustizia anche a Lui, san Cirillo, scagionandolo dall’accusa più infamante, quella di aver incoraggiato – se non addirittura commissionato – un orribile assassinio. In ogni caso, quale che sarà la sua decisione, l'accetterò col doveroso rispetto, e già da ora le rinnovo l’augurio che trovi realizzazione tutto ciò che il suo cuore desidera.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ho cercato di sintetizzare la risposta per non lasciarle un papiro in calce a blog… ahimè, invano. Anche se purtroppo non ho ancora il permesso di diffondere il documentario su internet (cosa che magari in futuro però potrebbe avvenire), rispondo volentieri alla sua seconda domanda. Ho letto con molto interesse la pagina delle sue ricostruzioni, che mi trova d’accordo in molti punti, ma in definitiva temo che le mie conclusioni la sorprenderanno (e non in senso positivo, stavolta). Le premetto innanzitutto che nelle lingue che conosco ho letto praticamente tutto ciò che è stato pubblicato sulla questione, da Baronio fino ai giorni nostri, e so che perfino i maggiori biografi cristiani (di ogni confessione) si sono ormai separati da tempo in due fazioni: vi sono coloro che appunto scagionano Cirillo da ogni accusa, il che ha le sue buonissime ragioni (non da ultima quella del più completo silenzio dei suoi avversari antiocheni ad Efeso su questo punto, quando sappiamo che Cirillo venne accusato praticamente di tutto); e vi sono coloro che non hanno paura ad ammettere perlomeno una responsabilità indiretta di Cirillo in quanto autorità maggiore ad Alessandria in quel preciso momento (che è anche il punto principale di Socrate). Personalmente ho mutato opinione diverse volte in questi anni, e sicuramente la muterò ancora in futuro mano a mano che nuovi studi verranno pubblicati; il mio sogno è che venga scoperta una nuova fonte copta più affidabile di quella di Giovanni di Nikiu (che, ironia della sorte, è corrotta proprio nel paragrafo che tratta di Ipazia!), e più vicina cronologicamente ai fatti narrati. Ma in sostanza la mia teoria è questa: il testo di Giovanni non va scartato perché è stato ragionevolmente provato che derivi da una fonte più antica, circolante in area copta e forse addirittura derivata dalle cronache della cancelleria vescovile. Se ci fidiamo di questa fonte (e soprattutto dell’indice dell’opera, che contiene informazioni ulteriori appartenenti alla versione integrale del libro), Cirillo avrebbe dato esplicitamente ordine di uccidere Ipazia (scegliendo anche il luogo dell’esecuzione) e di bruciarla. Io non credo che sia accaduto così, ma fa riflettere il fatto che un autore copto, che quasi idolatra Cirillo e che in altri punti lo descrive come “la grande stella che illumina il mondo, colui che è vestito di Spirito Santo”, non abbia alcuna remora ad ascrivere personalmente a lui l’omicidio. Ciò significa che era una narrativa ampiamente circolante da secoli in area egiziana, sicuramente basata su notizie attendibili. Al di là di questa fonte, che insieme a molti studiosi ritengo fondamentale, la mia ipotesi è che Cirillo abbia come minimo fatto intendere (implicitamente o esplicitamente) che Ipazia fosse un pericolo per la pace sociale della città – lei insieme al prefetto, chiaramente. È possibile poi che gli assassini di Ipazia abbiano anche pensato ad una rappresaglia per la morte di Ammonio. Il tentativo di canonizzazione di quest’ultimo da parte di Cirillo di certo contribuì a rendere chiaro il pensiero del vescovo riguardo al prefetto e alla sua cerchia, con le conseguenze che sappiamo. (1/2)

      Elimina
    2. (2/2) Pietro il Lettore in realtà non era un chierico minore: il lettorato all’epoca era conferito personalmente dal vescovo, e lo stesso Cirillo prima di divenire vescovo era stato nominato lettore da suo zio (che a sua volta era stato nominato lettore da sant’Atanasio): era insomma una persona piuttosto in vista (“the Bishop’s man”, hanno scritto molti biografi), quasi un rappresentate popolare del vescovo. Molti sono pure giunti a ipotizzare che questo Pietro e l’omonimo segretario di Cirillo al concilio di Efeso fossero la stessa persona, ma non possediamo abbastanza documenti per provarlo. Se Cirillo fosse stato del tutto innocente del crimine, poi, perché non punì gli assassini? E perché questi ultimi scelsero di trascinare Ipazia dentro o vicino al Cesareo, che era praticamente attaccato alla residenza del vescovo? È quantomeno evidente che chi uccise Ipazia era convinto di fare cosa gradita al vescovo.
      D'altra parte Ipazia era a capo di una “cerchia protomassonica” (così S. Ronchey, la principale studiosa – e partigiana – di Ipazia!), o meglio di un’élite di cittadini comprendente inizialmente anche gli ebrei e forse pure i cristiani che dissentivano da Cirillo, e difatti dopo la sua morte questo fronte si disfece in un attimo – segno che il prefetto non era nulla senza Ipazia. Credo che Cirillo abbia davvero intuito che fosse lei a detenere il vero potere ad Alessandria (con connessioni anche alla corte di Costantinopoli), ed è ciò che Damascio sostiene, pur nella sua scoperta parzialità e fantasia narrativa. Questo è quello che posso dire sul contesto in cui si consumò il crimine.
      Quale che sia la realtà dei fatti, comunque, l’assassinio di Ipazia non va ad inficiare la santità di Cirillo, e senza dubbio non diminuisce il valore immenso che ricopre per la dottrina e la spiritualità cristiane. Newman, che scrisse delle pagine stupende e commosse proprio su Cirillo e su questi eventi controversi della sua biografia, disse che come Davide era “l’uomo secondo il cuore di Dio” eppure perfino durante la liturgia ci troviamo a leggere la cronaca del suo omicidio commissionato e del suo adulterio (cose che la Bibbia non ha affatto censurato, e ricordiamoci che Davide fu antenato di Gesù nella carne!), così Cirillo rimane il grande santo che è pur con tutti i suoi errori e le sue incongruenze. Non a caso i copti lo chiamano “il Pilastro della Fede”, e rimango convinta che lo sia davvero. Mi ha salvato la vita e continua a farlo ogni giorno con i suoi scritti e la sua intercessione. Cirillo disse che “solo l’amore del vero porta alla Vita”, e sono certa che valga anche per la ricostruzione oggettiva di fatti che ci appaiono orribili. Il minimo che posso fare per lui è dire le cose come stanno sia nel male che nel bene e, in definitiva, diffondere l’amore che lui provava per Cristo pur nelle miserie della condizione umana e in un periodo oscurissimo della storia della Chiesa. Spero che la mia risposta non l’abbia turbata troppo. Ora devo proprio andare a dormire perché abbiamo la levata alle cinque e mezza.

      Elimina
  4. Grazie dell’argomentata, minuziosa risposta alla seconda domanda. Le sue argomentazioni rivelano uno studio ben più esteso e approfondito del mio (il tema, del resto, era per me alquanto marginale, motivato, più che altro, dall’antica simpatia per Ipazia e dal desiderio di ristabilire un minimo di verità contro becere strumentalizzazioni). Devo quindi presumere che la tesi che logicamente ne emerge sia più prossima a quella verità che entrambi perseguiamo. Tanto peggio per san Cirillo! Dico cosí, naturalmente, in una prospettiva esclusivamente umana, senza la sciocca presunzione di poterla trascendere; memore, in questo, del monito di Dante: “Or tu chi se’ che vuo’ sedere a scranna / per giudicar da lungi mille miglia / con la veduta corta d’una scranna?”. Né, d’altra parte, ho alcun diritto di mettere in discussione il suo giudizio complessivo sul Vescovo alessandrino (tanto più che esso mi pare fondato, oltre che su studi accurati, anche su ragioni e sentimenti squisitamente personali). Mi lasci però sottolineare la sua definizione di quell’epoca come “un periodo oscurissimo della storia della Chiesa” (oscurissimo – intendo – soprattutto sul piano morale!). E mi lasci aggiungere che la mia stima per lei, nata dal comune interesse per l’opera di Caetani, ne esce ora ben altrimenti motivata! Come la simpatia, fondata ora soprattutto sul comune amore alla Verità.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La ringrazio per il commento e per i complimenti, che ricambio. Non le ho ancora detto (non rida) che mi chiamo suor Irene dell’Incarnazione, e che ho scelto questo cognome proprio in ossequio di san Cirillo, “Doctor Incarnationis”. Se mai riuscirò ad andare in paradiso e lo incontrerò, avrò sicuramente molte domande da porgli. Senza dubbio approfondirò ancora di più la sua biografia perché sto proseguendo gli studi esclusivamente per tentare di riabilitare almeno un po’ la sua figura in ambito accademico (ma non mentendo o edulcorando – pur in buona fede – gli eventi come è stato fatto finora). La sua vicenda e quella di Ipazia sono questioni che a distanza di secoli continuano a sollevare interrogativi, perfino nel mio monastero (con conseguenti discussioni fra me e le mie consorelle, dato che noi delle ultime generazioni siamo cresciute con il mito di Ipazia – benché non adeguatamente approfondito a scuola). In ogni caso le auguro di nuovo un buon proseguimento dell’anno appena iniziato. Mi ricorderò di lei nei miei uffici di preghiera.

      Elimina
  5. “Χαίροις παρ′ἡμῶν”, ἀδελφὴ Είρήνη ἀπὸ τῆς Ἐνσαρκώσεως! E grazie di cuore, anche delle preghiere.

    RispondiElimina