venerdì, ottobre 25, 2019

Caetani, Hypatia: “Inno alla Bellezza”


fior di loto, simbolo di rinascita
Fior di loto, comune nell’antico Egitto.
A Ipazia dovette essere particolarmente caro,
non solo per la sua bellezza,
ma anche in quanto simbolo di rinascita
(cfr. mito di Er, da Cetani inserito nel suo dramma)



L’inno qui presentato non è propriamente di Ipazia, la studiosa alessandrina – nota più per la tragica fine che per i suoi celebri ma perduti studi di matematica e astronomia – alla quale ho dedicato due post, disponibili – chi volesse leggerli – in questo blog (la studiosa alessandrina; sua tragica fine).  Bensì della sua reincarnazione poetica nel melodramma Hypatia di Roffredo Caetani, dove il nome greco della protagonista è trascritto alla latina (puoi vederne il riassunto qui).
Per renderlo fruibile anche a chi ignora i post precedenti, premetterò una breve introduzione, necessaria alla contestualizzazione, e farò seguire qualche spunto di analisi, utile a una corretta interpretazione inquadrata nel contesto storico-culturale appropriato.  

erma del cosiddetto Omero Caetani

Omero “Caetani”
(erma del Museo del Louvre
Nella creazione del Caetani – che nell’essenziale rispetta i dati storici – l’insigne studiosa, sostegno e riferimento degli ultimi pagani di Alessandria (e perciò malvista dai cristiani), è amata da Oreste, Prefetto imperiale dell’Egitto. Hypatia vorrebbe ricambiarlo, ma quell’amabile governatore troppo è lontano dal sublime ideale di lei.
Ed è proprio l’incomprensione dell’uomo a dare occasione all’espansione lirica dell’eroina del pensiero. Dal punto di vista strutturale, infatti, l’inno si presenta come un tentativo, da parte della donna, di spiegare a Oreste le ragioni profonde di atteggiamenti a lui incomprensibili, come la cura con cui ogni giorno adorna di fiori l’erma di Omero, cioè – a suo vedere – un “marmo”, un pezzo di pietra!  Oh! Se tu almen intender mi potessi…!” sospira Hypatia. “Ogni qual volta / miro quei tratti, / mi sembra d’esser colta dal delirio / di quegli in cui discende un nume…”.
 No, Oreste non può intendere… “Come, / da un delirio?” domanda frastornato. Ed ecco la risposta:


Da l’estasi ineffabile
che la Bellezza
accende in chi ne ha l’anima compresa.

Intendo la beltà
di quanto gode giovinezza eterna;
che sia lo spirto del poeta antico,
od il profumo
di questi fiori che fiorir stamane.

Ognuno d’essi
non è come un sorriso
d’uno spirto celeste?
Ve’ quanta gioia è espressa in quei colori!
………………………………………
Ascolta la cadenza
lenta del mar…
il fremer misterioso de le foglie…
il gemito del vento,
e il canto de gli uccelli…
È  Pan, l’eterno!
Di gioia è l’inno intenso
di quanto vive
e palpita in riconoscenza al Re
de l’Universo
che fe’ fiorire la materia inerte,
vestendola del manto
di sua Bellezza!

Spunti di analisi

Cerchiamo di chiarire, anzitutto, la parola che ha gettato nella confusione il povero Prefetto: delirio. Insomma, “l’estasi ineffabile / che la Bellezza / accende in chi ne ha l’anima compresa” – spiega Hypatia. Più semplice di così… No, non è semplice – conveniamone. Non lo crede nemmeno lei, del resto. Tant’è vero che riprende “Intendo”…

Platone (partic. della "Scuola di Atene" di Raffaello)
Platone col dito puntato verso il cielo
a indicare che la vera realtà è quella spirituale
dell’iperuranio Mondo delle Idee
Il delirio, l’estasi cui qui si allude è un concetto elaborato da Platone nello Ione. Riprendendo spunti pitagorici (e comunque ampiamente presenti – sia pure in embrione – nella cultura greca presocratica) il filosofo ateniese aveva attribuito alla poesia, e in genere all’arte, un’origine chiaramente irrazionale. Non si può certo dire razionale – argomenta Socrate (personaggio principale del Dialogo) – il comportamento di chi è  in preda al fascino della musica o della poesia. Per piangere sulla sorte di Andromaca, o di Priamo, come accade a te, o Ione, quando sei sul palcoscenico, splendidamente abbigliato con gli abiti di scena, lontano mille miglia dalla penosa situazione di  quei personaggi, bisogna esser di fuori! E lo stesso dicasi per il tuo pubblico, anch’esso commosso fino alle lacrime. Ma guarda che il poeta stesso, Omero, si è trovato nelle condizioni medesime di te e del tuo pubblico. No – conclude Socrate  – il poeta che crea queste belle opere d’arte non è se stesso. Qualcun altro parla in lui e per lui, e non può essere che la divinità. C’è una specie di compenetrazione tra il poeta e la divinità: il dio si trasferisce nell’uomo e l’uomo nella divinità. L’uomo, in quel momento è éntheos, inserito nella divinità e gestito dalla divinità. E lo stesso accade all’interprete (rapsodo, attore…), e lo stesso al pubblico e, insomma, al fruitore della musica o della poesia. E qui Socrate-Platone usa un’immagine di straordinaria evidenza.  È come il magnete – dice. Posto in vicinanza di un anello di ferro, lo attrae. Non basta: non solo l’anello subisce l’energia del magnete, ma a sua volta ne diventa partecipe e capace dello stesso effetto sull’anello successivo… Ad ogni modo quello che conta è che tanto il creatore quanto il fruitore della bellezza artistica non è in sé, ma, per l’appunto, in estasi (la condizione di chi ex-ìstesi: “è di fuori”, “sta di fuori”). O, col linguaggio bonariamente campagnolo dei Romani, è in delirio, delira (lat. delirat: “va fuori solco”!).

Hypatia, al contatto con la bellezza, viene presa dal delirio, il delirio / di quegli in cui discende un nume (= una divinità); “da l’estasi ineffabile / che la Bellezza / accende in chi ne ha l’anima compresa” (“intrisa, impregnata” o, meglio, “com-penetrata”).  È la gioia – pregna di infinita gratitudine – che si accende quando l’anima sensibile accoglie in sé (e ne è parimenti assorbita) la Bellezza universale, in tutte le sue infinite manifestazioni (quella che Dio crea attraverso gli uomini-artisti e quella che crea direttamente Lui mediante la Natura). Gioia ineffabile, che riempie il cuore e lo gonfia di gratitudine verso il Re dell’Universo (e qui il platonismo dissolve in neoplatonismo plotiniano), quel Dio che ha voluto e vuole comunicare parte della sua Bellezza alla innumerevole ricchezza delle sue creature.
La bellezza – spiega Plotino – è essenzialmente spirituale. Anche le essenze materiali, i corpi in generale, sono belli in grazia della forma, che è di natura spirituale, dell’ idea, per dirla con Platone. I corpi sono belli nella misura in cui partecipano dell’idea, che emana da Dio e dà forma alla materia inerte. E chi, trascendendo la materia, è capace di elevarsi al mondo delle idee, al mondo dello Spirito, alla contemplazione del Bello nella sua assoluta integrità, questi sente in sé “la traboccante gioiosa meraviglia, la percossa che non reca dolore” (trad. Cilento), raggiungendo il culmine della felicità. “Infelice è colui che non consegue il Bello, il solo Bello!” grida Plotino, attingendo un misticismo non meno sublime di quello cristiano. “Per la sua conquista, conviene far gètto dei regni e degli imperi di tutta la terra, di tutto il mare, di tutto il cielo!”. Vi immaginate la faccia del povero Prefetto, se l’amata Hypatia gli avesse sciorinato queste frementi esternazioni del suo maestro spirituale?
vialone dei cipressi da San Guido a Bolgheri
I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar…
(foto ripresa dal sito sviluppomanageriale.it)

L’esemplificazione della protagonista (la bellezza della poesia, il profumo la forma e i colori dei fiori, la cadenza lenta del mare…) va vista e intesa in questo quadro della visione neoplatonica. Non a caso, essa è riassunta nella mitica figura di Pan, inteso come il Tutto. Notevole (per risalire alle fonti della cultura del Caetani) che il compositore lo evochi con la ripresa di un emistichio carducciano, con la lievissima variazione che trasforma la congiunzione in verbo. “E Pan l’eterno”… – cantano i cipressi del vialone di San Guido al poeta maremmano dal cuore gonfio di tristezza – “E Pan l’eterno […] il dissidio, o mortal, de le tue cure / ne la diva armonia sommergerà”. Esatto. È proprio questo il significato che ha Pan l’eterno nel canto di Hypatia: il ritmo eterno dell’Universo, capace di sollevare l’uomo dalle miserie quotidiane al regno incantato dell’armonia universale. 

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