L’inno qui presentato non è propriamente di Ipazia, la
studiosa alessandrina – nota più per la tragica fine che per i suoi celebri ma
perduti studi di matematica e astronomia – alla quale ho dedicato due post,
disponibili – chi volesse leggerli – in questo blog (la studiosa alessandrina; sua tragica fine). Bensì della sua reincarnazione poetica nel
melodramma Hypatia di Roffredo
Caetani, dove il nome greco della protagonista è trascritto alla latina (puoi
vederne il riassunto qui).
Per renderlo fruibile anche a chi ignora i post
precedenti, premetterò una breve introduzione, necessaria alla
contestualizzazione, e farò seguire qualche spunto di analisi, utile a una
corretta interpretazione inquadrata nel contesto storico-culturale appropriato.
Omero “Caetani”
(erma del
Museo del Louvre |
Ed è proprio l’incomprensione dell’uomo a dare occasione
all’espansione lirica dell’eroina del pensiero. Dal punto di vista strutturale,
infatti, l’inno si presenta come un tentativo, da parte della donna, di
spiegare a Oreste le ragioni profonde di atteggiamenti a lui incomprensibili,
come la cura con cui ogni giorno adorna di fiori l’erma di Omero, cioè – a suo
vedere – un “marmo”, un pezzo di pietra!
“Oh! Se tu almen intender mi
potessi…!” sospira Hypatia. “Ogni
qual volta / miro quei tratti, / mi sembra d’esser colta dal delirio / di
quegli in cui discende un nume…”.
No, Oreste non può
intendere… “Come, / da un delirio?”
domanda frastornato. Ed ecco la risposta:
Da l’estasi ineffabile
che la Bellezza
accende in chi ne ha l’anima
compresa.
Intendo la beltà
di quanto gode giovinezza eterna;
che sia lo spirto del poeta
antico,
od il profumo
di questi fiori che fiorir
stamane.
Ognuno d’essi
non è come un sorriso
d’uno spirto celeste?
Ve’ quanta gioia è espressa in
quei colori!
………………………………………
Ascolta la cadenza
lenta del mar…
il fremer misterioso de le
foglie…
il gemito del vento,
e il canto de gli uccelli…
È
Pan, l’eterno!
Di gioia è l’inno intenso
di quanto vive
e palpita in riconoscenza al Re
de l’Universo
che fe’ fiorire la materia
inerte,
vestendola del manto
di sua Bellezza!
Spunti di analisi
Cerchiamo di chiarire, anzitutto, la parola che ha
gettato nella confusione il povero Prefetto: delirio. Insomma, “l’estasi
ineffabile / che la Bellezza / accende in chi ne ha l’anima compresa” –
spiega Hypatia. Più semplice di così… No, non è semplice – conveniamone. Non lo
crede nemmeno lei, del resto. Tant’è vero che riprende “Intendo”…
Platone col dito
puntato verso il cielo
a indicare che la
vera realtà è quella spirituale
dell’iperuranio
Mondo delle Idee
|
Hypatia, al contatto con la bellezza, viene presa dal
delirio, il delirio / di quegli in cui discende un nume (= una
divinità); “da l’estasi ineffabile / che
la Bellezza / accende in chi ne ha l’anima compresa” (“intrisa,
impregnata” o, meglio, “com-penetrata”). È la gioia – pregna di infinita gratitudine –
che si accende quando l’anima sensibile accoglie in sé (e ne è parimenti
assorbita) la Bellezza universale, in tutte le sue infinite manifestazioni
(quella che Dio crea attraverso gli uomini-artisti e quella che crea
direttamente Lui mediante la Natura). Gioia ineffabile, che riempie il cuore e
lo gonfia di gratitudine verso il Re dell’Universo (e qui il platonismo dissolve
in neoplatonismo plotiniano), quel Dio che ha voluto e vuole comunicare parte
della sua Bellezza alla innumerevole ricchezza delle sue creature.
La bellezza – spiega Plotino – è essenzialmente
spirituale. Anche le essenze materiali, i corpi in generale, sono belli in
grazia della forma, che è di natura spirituale, dell’ idea, per dirla con Platone. I corpi sono belli nella misura in cui
partecipano dell’idea, che emana da
Dio e dà forma alla materia inerte. E chi, trascendendo la materia, è capace di
elevarsi al mondo delle idee, al mondo dello Spirito, alla contemplazione del
Bello nella sua assoluta integrità, questi sente in sé “la traboccante gioiosa
meraviglia, la percossa che non reca dolore” (trad. Cilento), raggiungendo il
culmine della felicità. “Infelice è colui che non consegue il Bello, il solo
Bello!” grida Plotino, attingendo un misticismo non meno sublime di quello
cristiano. “Per la sua conquista, conviene far gètto dei regni e degli imperi
di tutta la terra, di tutto il mare, di tutto il cielo!”. Vi immaginate la
faccia del povero Prefetto, se l’amata Hypatia gli avesse sciorinato queste frementi esternazioni
del suo maestro spirituale?
I cipressi che a Bolgheri
alti e schietti
van da San Guido in
duplice filar…
(foto ripresa dal sito sviluppomanageriale.it) |
L’esemplificazione della protagonista (la bellezza della
poesia, il profumo la forma e i colori dei fiori, la cadenza lenta del mare…)
va vista e intesa in questo quadro della visione neoplatonica. Non a caso, essa
è riassunta nella mitica figura di Pan, inteso come il Tutto. Notevole (per
risalire alle fonti della cultura del Caetani) che il compositore lo evochi con
la ripresa di un emistichio carducciano, con la lievissima variazione che
trasforma la congiunzione in verbo. “E
Pan l’eterno”… – cantano i cipressi del vialone di San Guido al poeta
maremmano dal cuore gonfio di tristezza – “E
Pan l’eterno […] il dissidio, o mortal,
de le tue cure / ne la diva armonia sommergerà”. Esatto. È proprio questo
il significato che ha Pan l’eterno nel canto di Hypatia: il ritmo eterno
dell’Universo, capace di sollevare l’uomo dalle miserie quotidiane al regno
incantato dell’armonia universale.
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