“Una figura alta,
snella, elegante”
Così apparve al critico della Vossische Zeitung
l’autore di Hypatia
la sera della prima
(foti ripresa da R.C. Un musicista aristocratico)
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Hypatia ebbe il battesimo di pubblico
una domenica di Pentecoste, a Weimar (Nationaltheater), il 23 maggio 1926 (v. biografia Caetani e riassunto e analisi del libretto). E
fu, se non un trionfo, certo un sicuro successo. Il pubblico, composto non solo
di appassionati weimariani ma anche di molti stranieri, specialmente musicisti
e scrittori di cose musicali, applaudì vivacemente.
Così attesta, tra gli altri, Max Marschalk, critico della
Vossische Zeitung. Il quale
riferisce, anche, che molti si domandavano “come mai un musicista del suo rango
dovesse incanutire prima che il gran mondo venisse a sapere qualcosa di lui e
della sua produzione” (Caetani aveva allora 54 anni).
Successo riconosciutogli, una volta tanto, anche dai
critici, sia pure con qualche… critica (è il loro mestiere!).
Marschalk riconosce, nella partitura del
musicista italiano, una filiazione dal Parsifal di Wagner (ascendenza scontata, per chi sa
quanta ammirazione Caetani nutrisse per il Maestro di Lipsia), e dalla Salome e dall’Elektra di
Richard Strauss. Ma – avverte – non si tratta di imitazione servile. Gli spunti
tratti dai due tedeschi sono “incorporati in un linguaggio musicale la cui
fisionomia complessiva è innegabilmente proprietà di Caetani”. Una musica, la sua,
caratterizzata da “una grande purezza di sentimenti e di sensibilità”. Una
musica “pura e casta”, viva, che fluisce senza mai ristagnare. Col pregio
aggiuntivo di tenersi volutamente lontana da ogni “puccinismo”. L’ascoltatore
lo segue con attenzione perennemente desta. “E l'intenditore, in aggiunta, può
compiacersi di un lavoro attento, condotto a regola d’arte, e di una
strumentazione che nel caratterizzare non trapassa mai i confini della
bellezza”. E mano “particolarmente felice” gli riconosce nel trattamento del
coro.
Un linguaggio musicale che si può ben definire
caetaniano, dunque. Questo però – avverte il critico – non vuol dire che si
possa parlare di originalità assoluta, di qualcosa di inedito (del resto, aveva
già segnalato le ascendenze tedesche). Ma, d’altra
parte – aggiunge – sarebbe errore volere accordare la propria approvazione soltanto alla novità assoluta,
all’inedito. “I musicisti in grado di compiere una sintesi, di combinare in
modo originale ciò che abbiamo ereditato con l’apporto personale, e che si
dimostrino capaci di produrre qualcosa di valido, sono per noi più benvenuti di
sperimentatori selvaggi, dotati di insufficiente capacità, che vogliono ad ogni costo fare tutto in modo
diverso”. E molto saggiamente conclude: “Soltanto il diverso, soltanto il nuovo
che è necessario, e non solamente voluto, può farci progredire”.
Naturalmente non manca di muovere qualche censura (se no,
che critico sarebbe?). Una – veniale – riguarda il libretto. La figura della
protagonista è vista da un “moderno esteta”; Hypatia è meno “luce di sapienza”
che “stella di bellezza”; più “la signora amante delle belle lettere, forse
anche un po’ salottiera, del nostro tempo, che la donna erudita ed eloquente
del 415 d.C.”. Tuttavia anche lui deve riconoscere che essa “suscita interesse
e simpatia ogni volta che appare”.
Più grave un’altra accusa, riferita – mi sembra – sia al
libretto che alla musica. Marschalk registra, accanto a “scene grandiose che
rivelano il musicista abile e serio”, scene da “opera seria ormai superata”. E
come esempio cita quella ambientata tra le rovine del tempio di Serapide, “in
parte pantomima, in parte danza classica, in parte fantasia corale”, “difficile
da sopportare nella sua lunghezza”. Addirittura! Proprio quella scena da sacra rappresentazione
pagana che a me, almeno come spunto poetico, sembra altamente suggestiva,
sempre a condizione che a interpreti all’altezza si aggiungano uno scenografo e
un coreografo di valore, rispettosi della volontà dell’autore, e dello spirito
della composizione. Il critico della Vossische
Zeitung suggerisce tagli, preconizzando, in tal caso, che “Hypatia potrebbe significare non solo un
incremento, ma anche un arricchimento della letteratura operistica”.
(Suggerimento forse accolto dal musicista: nell’edizione 1938 del libretto, in nota alla
descrizione della scena si legge questa avvertenza “Coreografia fedele al testo
di Platone ma da semplificarsi, volendo, ne la esecuzione in teatro”. E nella
versione trasmessa alla radio nel 1958 la scena risulta falcidiata!).
In buona sostanza concordante la valutazione critica del Berliner Tageblatt, firmata da Leopold Schmidt.
Ceatani è un musicista di razza – dice. Lavora con
serietà e competenza e, per affermarsi, non ha bisogno di gettare sul piatto
della bilancia il suo patrimonio e le sue relazioni. La sua musica, viva
nell’espressione, “aderisce alla situazione e all’atmosfera spirituale”. È, forse, “un po’
monocolore, ma ricca ed efficace nell’orchestrazione maneggiata magistralmente”, con soluzioni
armoniche non di rado originali. “Si intuisce che Caetani conosce i suoi
contemporanei e ha imparato da loro, ma sa come evitare i richiami diretti e le
imitazioni esteriori”, osserva. E anche lui sottolinea insieme la modernità
della sua musica e la lontananza da ogni eccesso modernistico, il suo rifiuto di
“sacrificare la sua sana sensualità a speculazioni infruttuose”.
Difetti? Certo, anche Leopold Schmidt ne trova. E li
sottolinea. Per esempio: eccessiva lunghezza, difetti della struttura scenica,
resi evidenti dalla difficoltà di capirne le intenzioni poetiche, “il fluire
lento e troppo spesso stagnante dell'ultimo atto”… Ma soprattutto gli manca – a
giudizio del critico – “l’elemento supremo capace di assicurare il successo del
drammaturgo: il carattere personale dell’espressione melodica. Questa musica
rimane costantemente nobile e raffinata nei suoi mezzi, evita qualsiasi luogo
comune e qualsiasi effetto scontato, ma non dice molto sui personaggi del pezzo
né sui sentimenti del suo creatore”. Insomma, un’accusa di distacco se non di
freddezza. Accusa – a mio modo di vedere – piuttosto grave, specialmente nel
caso di un’opera lirica, anche quando l’autore preferisce chiamarla “azione
lirica”. Ma è davvero così? E che significa, allora, l’affermazione che la
musica di Caetani “aderisce alla situazione e all’atmosfera spirituale” (schmiegt sich im allgemeinem der jeweiligen
Situation und Stimmung an)?
Mi sono dilungato, forse un po’ troppo, su questi due
critici tedeschi. Mi sarà dunque perdonato se trascuro critici italiani
sicuramente più accessibili. Faccio un’eccezione per un trafiletto
del Popolo d’Italia, per il punto di
vista squisitamente politico. (Attenzione: siamo ancora all’epoca della
cosiddetta Repubblica di Weimar!). L’anonimo estensore parla di “successo
entusiastico” e di un banchetto offerto in onore dell’autore. A tale banchetto
parteciparono, tra gli altri, il Ministro dell’Istruzione pubblica dello Stato
di Turingia e l’Ambasciatore d’Italia, conte Aldrovandi. Quest’ultimo, nel
discorso ufficiale, “ha sottolineato i legami artistici che uniscono l’Italia
alla Germania e che più che altrove si rendono palesi a Weimar”, e “ha brindato
augurando all’intensificazione dei rapporti amichevoli e culturali fra i due
paesi e rendendo onore al Principe Caetani, che col fare rappresentare in
Germania il frutto del suo lavoro di molti anni ha fatto opera di buon
italiano”. Risposta altrettanto cordiale da parte del Ministro di Turingia, e
affermazione di disponibilità “a coltivare e intensificare i rapporti di
coltura con la grande Patria latina”.
Mi fermo qui. Tra qualche giorno pubblicherò il mio Invito all’ascolto, al quale auguro buon
accoglienza. Sono sicuro che vi convincerete anche voi che l’accusa più grave
di Schmidt è infondata!
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