venerdì, gennaio 17, 2020

L’Hypatia di Caetani: la prima weimariana e il giudizio dei contemporanei.


foto di roffredo caetani
“Una figura alta, snella, elegante”
Così apparve al critico della Vossische Zeitung
l’autore di Hypatia la sera della prima
(foti ripresa da R.C. Un musicista aristocratico)
Hypatia ebbe il battesimo di pubblico una domenica di Pentecoste, a Weimar (Nationaltheater), il 23 maggio 1926  (v. biografia Caetaniriassunto e analisi del libretto). E fu, se non un trionfo, certo un sicuro successo. Il pubblico, composto non solo di appassionati weimariani ma anche di molti stranieri, specialmente musicisti e scrittori di cose musicali, applaudì vivacemente.
Così attesta, tra gli altri, Max Marschalk, critico della Vossische Zeitung. Il quale riferisce, anche, che molti si domandavano “come mai un musicista del suo rango dovesse incanutire prima che il gran mondo venisse a sapere qualcosa di lui e della sua produzione” (Caetani aveva allora 54 anni).
Successo riconosciutogli, una volta tanto, anche dai critici, sia pure con qualche… critica (è il loro mestiere!).

Marschalk riconosce, nella partitura del musicista italiano, una filiazione dal Parsifal  di Wagner (ascendenza scontata, per chi sa quanta ammirazione Caetani nutrisse per il Maestro  di Lipsia), e dalla Salome e dall’Elektra di Richard Strauss. Ma – avverte – non si tratta di imitazione servile. Gli spunti tratti dai due tedeschi sono “incorporati in un linguaggio musicale la cui fisionomia complessiva è innegabilmente proprietà di Caetani”. Una musica, la sua, caratterizzata da “una grande purezza di sentimenti e di sensibilità”. Una musica “pura e casta”, viva, che fluisce senza mai ristagnare. Col pregio aggiuntivo di tenersi volutamente lontana da ogni “puccinismo”. L’ascoltatore lo segue con attenzione perennemente desta. “E l'intenditore, in aggiunta, può compiacersi di un lavoro attento, condotto a regola d’arte, e di una strumentazione che nel caratterizzare non trapassa mai i confini della bellezza”. E mano “particolarmente felice” gli riconosce nel trattamento del coro.

Inizio della recensione della Vossische Zeitung


Un linguaggio musicale che si può ben definire caetaniano, dunque. Questo però – avverte il critico – non vuol dire che si possa parlare di originalità assoluta, di qualcosa di inedito (del resto, aveva già segnalato le ascendenze tedesche). Ma, d’altra parte – aggiunge – sarebbe errore volere accordare la propria approvazione soltanto alla novità assoluta, all’inedito. “I musicisti in grado di compiere una sintesi, di combinare in modo originale ciò che abbiamo ereditato con l’apporto personale, e che si dimostrino capaci di produrre qualcosa di valido, sono per noi più benvenuti di sperimentatori selvaggi, dotati di insufficiente capacità,  che vogliono ad ogni costo fare tutto in modo diverso”. E molto saggiamente conclude: “Soltanto il diverso, soltanto il nuovo che è necessario, e non solamente voluto, può farci progredire”.
Naturalmente non manca di muovere qualche censura (se no, che critico sarebbe?). Una – veniale – riguarda il libretto. La figura della protagonista è vista da un “moderno esteta”; Hypatia è meno “luce di sapienza” che “stella di bellezza”; più “la signora amante delle belle lettere, forse anche un po’ salottiera, del nostro tempo, che la donna erudita ed eloquente del 415 d.C.”. Tuttavia anche lui deve riconoscere che essa “suscita interesse e simpatia ogni volta che appare”.
Più grave un’altra accusa, riferita – mi sembra – sia al libretto che alla musica. Marschalk registra, accanto a “scene grandiose che rivelano il musicista abile e serio”, scene da “opera seria ormai superata”. E come esempio cita quella ambientata tra le rovine del tempio di Serapide, “in parte pantomima, in parte danza classica, in parte fantasia corale”, “difficile da sopportare nella sua lunghezza”. Addirittura! Proprio quella scena da sacra rappresentazione pagana che a me, almeno come spunto poetico, sembra altamente suggestiva, sempre a condizione che a interpreti all’altezza si aggiungano uno scenografo e un coreografo di valore, rispettosi della volontà dell’autore, e dello spirito della composizione. Il critico della Vossische Zeitung suggerisce tagli, preconizzando, in tal caso, che “Hypatia potrebbe significare non solo un incremento, ma anche un arricchimento della letteratura operistica”. (Suggerimento forse accolto dal musicista: nell’edizione 1938 del libretto, in nota alla descrizione della scena si legge questa avvertenza “Coreografia fedele al testo di Platone ma da semplificarsi, volendo, ne la esecuzione in teatro”. E nella versione trasmessa alla radio nel 1958 la scena risulta falcidiata!).

In buona sostanza concordante la valutazione critica del Berliner Tageblatt, firmata da Leopold Schmidt.
Ceatani è un musicista di razza – dice. Lavora con serietà e competenza e, per affermarsi, non ha bisogno di gettare sul piatto della bilancia il suo patrimonio e le sue relazioni. La sua musica, viva nell’espressione, “aderisce alla situazione e all’atmosfera spirituale”.  È, forse, “un po’ monocolore, ma ricca ed efficace nell’orchestrazione maneggiata magistralmente”, con soluzioni armoniche non di rado originali. “Si intuisce che Caetani conosce i suoi contemporanei e ha imparato da loro, ma sa come evitare i richiami diretti e le imitazioni esteriori”, osserva. E anche lui sottolinea insieme la modernità della sua musica e la lontananza da ogni eccesso modernistico, il suo rifiuto di “sacrificare la sua sana sensualità a speculazioni infruttuose”.

Inizio della recensione del Berliner Tageblatt


Difetti? Certo, anche Leopold Schmidt ne trova. E li sottolinea. Per esempio: eccessiva lunghezza, difetti della struttura scenica, resi evidenti dalla difficoltà di capirne le intenzioni poetiche, “il fluire lento e troppo spesso stagnante dell'ultimo atto”… Ma soprattutto gli manca – a giudizio del critico – “l’elemento supremo capace di assicurare il successo del drammaturgo: il carattere personale dell’espressione melodica. Questa musica rimane costantemente nobile e raffinata nei suoi mezzi, evita qualsiasi luogo comune e qualsiasi effetto scontato, ma non dice molto sui personaggi del pezzo né sui sentimenti del suo creatore”. Insomma, un’accusa di distacco se non di freddezza. Accusa – a mio modo di vedere – piuttosto grave, specialmente nel caso di un’opera lirica, anche quando l’autore preferisce chiamarla “azione lirica”. Ma è davvero così? E che significa, allora, l’affermazione che la musica di Caetani “aderisce alla situazione e all’atmosfera spirituale” (schmiegt sich im allgemeinem der jeweiligen Situation und Stimmung an)?

Mi sono dilungato, forse un po’ troppo, su questi due critici tedeschi. Mi sarà dunque perdonato se trascuro critici italiani sicuramente più accessibili. Faccio un’eccezione per un trafiletto del Popolo d’Italia, per il punto di vista squisitamente politico. (Attenzione: siamo ancora all’epoca della cosiddetta Repubblica di Weimar!). L’anonimo estensore parla di “successo entusiastico” e di un banchetto offerto in onore dell’autore. A tale banchetto parteciparono, tra gli altri, il Ministro dell’Istruzione pubblica dello Stato di Turingia e l’Ambasciatore d’Italia, conte Aldrovandi. Quest’ultimo, nel discorso ufficiale, “ha sottolineato i legami artistici che uniscono l’Italia alla Germania e che più che altrove si rendono palesi a Weimar”, e “ha brindato augurando all’intensificazione dei rapporti amichevoli e culturali fra i due paesi e rendendo onore al Principe Caetani, che col fare rappresentare in Germania il frutto del suo lavoro di molti anni ha fatto opera di buon italiano”. Risposta altrettanto cordiale da parte del Ministro di Turingia, e affermazione di disponibilità “a coltivare e intensificare i rapporti di coltura con la grande Patria latina”.

Mi fermo qui. Tra qualche giorno pubblicherò il mio Invito all’ascolto, al quale auguro buon accoglienza. Sono sicuro che vi convincerete anche voi che l’accusa più grave di Schmidt è infondata!




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