Aldo Nicolaj
(da Wikipedia)
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Il 15 marzo prossimo ricorre il centenario della nascita
di Aldo Nicolaj. È un drammaturgo italiano (nato a Fossano nel 1920 e
spentosi a Orbetello nel 2004), insignito di vari riconoscimenti, e tuttavia
forse più noto e amato all’estero che in patria.
Io stesso lo conobbi all’estero. Ne ebbi un’ottima
impressione, e perciò mi sento quasi in obbligo di rendergli omaggio con la mia
modesta testimonianza.
Era il 5 febbraio 1993. A Lubiana – fiera della riconquistata indipendenza – si dava la sua Classe di ferro (tradotta
in sloveno col titolo Prva klasa, letteralmente
“Prima classe”).
Al “Mala Drama” era atteso anche l’Autore, in ritardo per
la nebbia. Nel frattempo ebbi modo di scambiare qualche parola col regista
Babič, un uomo di grande modestia; originario dell’Istria slovena – diceva – ma
abitante perlopiù a Trieste, dove aveva lavorato – e continuava a lavorare –
per la TV slovena.
Verso la fine della rappresentazione arrivò, finalmente, Nicolaj,
giusto in tempo per condividere con gli interpreti gli applausi e l’entusiasmo
del pubblico.
“Avrei preferito andare a letto” mi confida mentre, in
gruppo, ci rechiamo al ristorante. “Sono in piedi dalle sei”. Poi, forse stuzzicato da qualche mia attestazione di stima, accenna a un moto di rammarico per la scarsa accoglienza riservata alle sue opere in Italia.
A tavola ci sono i tre attori, il regista, Valeria (una gran bella ragazza incaricata delle pubbliche relazioni del teatro), un uomo che non conosco e che non parla quasi mai (forse l’autista), e, naturalmente, l’Autore. Gli attori affermano che nel recitare quest’opera si sono essi stessi divertiti. Nicolaj racconta che in Francia, dopo una rappresentazione di questa sua commedia davanti ad anziani e specialisti di geriatria, invitò i presenti a discutere. Ma non accenna al contenuto di quelle discussioni. Spiega, invece, il retroterra delle sue composizioni: “Non so guidare, perciò vado a piedi, o in autobus, e ascolto e… rubo”. Parla anche dell’inizio della sua collaborazione con la Borboni. Fu lei a chiedergli espressamente un monologo per una “puttana”; Nicolaj rispose facendo modestamente rilevare l’incongruità di quella professione con l’età della Borboni. L’anziana attrice parve arrendersi. Ma la sera dopo gli telefonò: “In Via Veneto ho conosciuto una puttana di 65 anni con la quale ho parlato per molto tempo; le ho posto il problema e le ho promesso che andrai a trovarla; pago io, ma ci devi andare, e mi devi scrivere il monologo”. “Naturalmente non ci andai – conclude. – Ma il monologo lo scrissi lo stesso”. Dice anche, visibilmente compiaciuto, che in quei giorni ben ottanta teatri russi stavano rappresentando opere sue.
Permettetemi, a questo punto, di aprire una parentesi per
dedicare qualche riga alla bravissima interprete di Ambra, l’attrice Iva Zupančič, da
un paio d’anni passata anche lei, purtroppo, nel mondo dei più.
L’attrice Iva Zupančič
(1931-2017)
(dal sito drama.si)
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Nella conversazione, l’Autore – com’è
ovvio – è conteso da
tutti, e io, seduto al suo fianco, ritengo mio dovere restare un po’ defilato.
Converso, perciò, soprattutto con l’attrice, non più giovanissima (aveva 61
anni) ma ancora piacente e, soprattutto, molto garbata e simpatica. Si parla di
vari argomenti. Di teatro, naturalmente (e scopro con soddisfazione che neanche
a lei è piaciuto il tanto osannato Re Lear con la regia di Jovanović presentato
l’autunno precedente); di Burri (aveva visitato la mostra appena inaugurata
alla Moderna Galerija e ricordava di aver già visto una sua mostra a Venezia,
forse nel ’60); di De Chirico, di cui desiderava tanto di aver l’occasione di
vedere qualcosa. E, naturalmente, anche di cibi. Loda la bontà dei ristoranti
italiani, almeno quelli di Londra. Nei ristoranti italiani di Londra – dice –
posso andare sicura di mangiar presto e bene, e senza eccessive preoccupazioni
per la mia non molto fornita borsa di attrice.
Ma torniamo a Nicolaj.
L’entusiasmo del pubblico si rinnova, la sera dopo, alla
recita di alcuni suoi monologhi affidati alla brava Polona Vetrih. L’Autore è
presente ma defilato.
A fine spettacolo la Vetrih si volge verso un palco di
destra e dice in italiano: “Caro Aldo, grazie!”. Il palco s’illumina. Ed
eccolo, Nicolaj, in piedi, restituire il ringraziamento. “Grazie – riprende
l’attrice – di questi bei monologhi che reggono a Lubiana da ormai ben cinque
anni!”.
Mentre la sala comincia a sfollarsi, corro nel palco a
congedarmi dall’autore. Lo trovo molto compiaciuto. Nel breve colloquio accenna
alla bravura dell’attrice, al fatto che tra breve dovrà incontrare il
Presidente della Repubblica, alla storia del III dei monologhi recitati. “Mi fu
chiesto dalla Magnani”, spiega. “– Voglio un monologo! – mi disse in tono
perentorio. – Un monologo per una donna
che ancora scopa! –”.
Grazie anche da parte mia,
Aldo Nicolaj. Chiudo con l’auspicio che questa ricorrenza rilanci (come pare
stia già accadendo) le tue opere, che meriterebbero, nella tua patria, più
ampio riconoscimento. E con l’invito, a chi legge queste righe, di andare a
vedere – o almeno leggere – questa Classe di ferro, questa… “Prima classe”, come dicono gli Sloveni.
Una commedia amara (ma divertente!), un testo oggi più attuale che mai, se è vero che, lanciata da un ‘intellettuale
progressista’, va diffondendosi l’inedita convinzione che gli anziani siano,
per definizione, nemici delle nuove generazioni (cioè dei propri figli e nipoti!),
e vadano perciò privati quantomeno del diritto di voto!
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