venerdì, gennaio 07, 2022

Idea di scienza nei talk-show televisivi e nei giudici che condannarono Galileo

Idea di scienza nei talk-show televisivi e nei giudici che condannarono Galileo



Galileo Galilei
in un ritratto (agli Uffizi) del fiammingo Justus Sustermans

 
Esattamente 380 anni fa (8 gennaio 1642) moriva Galileo Galilei. 

Finiva i suoi giorni ad Arcetri, più precisamente nella Villa “Il Gioiello” a Pian dei Giullari, sulla collina a Sud di Firenze, a pochi chilometri dalla città. Viveva lì non per sua scelta (avrebbe preferito stare a Firenze), ma “coatto”,  in stato di confinato se non proprio di detenuto, vittima del pregiudizio religioso e della “Scienza”, con la S maiuscola.

Ho deciso di dedicare alla ricorrenza questo mio minuscolo contributo – uscendo, per una volta, dai temi  a me familiari – per l’onore dovuto a un grande italiano che, senza alcuna esagerazione, può e deve essere definito pioniere, anzi iniziatore, della scienza moderna. Ma anche – lo confesso – per un motivo più contingente: il disgusto per lo strazio che ormai quotidianamente si fa della nozione di scienza, e di scientifico, caduta nelle mani e nelle chiacchiere di pochi profittatori e, più specialmente, di ben nutrite accozzaglie di persone che parlano con incredibile sicurezza e supponenza di cose di cui, quando va bene, non hanno che qualche nozione generica e superficiale. Proprio per questo ritengo quanto mai opportuna, oggi, una riflessione sulla sua figura, e in particolare sulle circostanze della sua ben nota condanna.

Vittima della “Scienza” l’ho definito. Vittima, non martire! Martire lo fu davvero, ma della scienza con la s minuscola, quella che procede un po’ a tentoni, per tentativi ed errori e rettifiche; quella che si costruisce, giorno per giorno, da schiere di modesti ricercatori, e da rari geni capaci d’imprimere al suo sviluppo svolte epocali.



Villa “il Gioiello”, a Pian dei Giullari, vista dal giardino. 
Prima (1631-1632) ‘buen retiro’
dove dette l’ultima mano al Dialogo che gli costò la condanna;
poi (dalla fine del 1633 alla morte) domicilio coatto dove,
rispettoso del divieto di occuparsi di astronomia, 
continuò i suoi studi di fisica, componendo i memorabili
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze

Galilei non fu condannato – come credono gli sprovveduti – in nome di tesi sostenute da ignoranti ed oscurantisti fermi al Medioevo. Fu condannato in nome della Scienza, quella ufficiale dell’epoca. Certo, i due processi che lo riguardarono furono imbastiti e risolti dall’Autorità religiosa, dalla Curia romana e dal Tribunale dell’Inquisizione, spinti a muoversi primariamente da preoccupazioni e pregiudizi di ordine religioso. Ma l’Autorità religiosa impiegò il proprio formidabile potere e apparato coercitivo (oggi demandato agli Stati e agli Esecutivi, soprattutto a certi Esecutivi...) a  sostegno – e col sostegno! –  della “Scienza”, cioè della visione del mondo comunemente accettata dalla comunità scientifica dell’epoca. La tesi copernicana da lui sostenuta fu bensì definita “formaliter heretica” (“fomalmente eretica”) ma, prima ancora, “stulta et absurda in philosophia” (“sciocca e assurda sul piano filosofico”: così nella sentenza del 1616, base per la successiva severa condanna del 1633). Coloro che lo condannarono non erano “analfabeti funzionali”. Si basavano sul parere di fior di matematici ed astronomi (e tali, in alcuni casi, erano essi stessi!). Alle argomentazioni in difesa della tesi copernicana, contrapponevano – oltre a male interpretate affermazioni bibliche – l’insostenibilità del moto della Terra nel contesto di una visione della dinamica ancora sostanzialmente aristotelica, ignara del principio d’inerzia (la cui scoperta si deve appunto a Galilei, e la formulazione attuale a Newton); e persino l’inaccettabilità (a loro vedere) di interpretazioni di fatti da lui incautamente portati a sostegno, come il fenomeno delle maree, erroneamente (almeno dal punto di vista della Scienza attuale!) attribuito ai moti terrestri. Contrapponevano, insomma, oltre a discutibilissimi pregiudizi religiosi, la visione del mondo che all’epoca era pacificamente accettata come scienza, anzi come “la Scienza”, la scienza ufficiale. La teoria eliocentrica, prima che da Copernico, era stata formulata già nel III sec. a. C. dall’astronomo Aristarco di Samo, ma non aveva mai attecchito, probabilmente proprio per la sua inconciliabilità con l’osservazione comune; e, al tempo di Galilei, ben pochi astronomi e matematici (Keplero, p. es.) ne riconoscevano la ragionevolezza, esponendosi il meno possibile e accennandone quasi esclusivamente in latino! Galilei, invece, un po’ per carattere (listinto polemico lo aveva ereditato dal padre!), un po’ per eccesso di fiducia (il papa Urbano VIII era stato suo estimatore ed amico!) aveva osato mettere in discussione “la Scienza”. Osò, e mal gliene incolse!  



Villa “il Gioiello” a Pian dei Giullari (partic. della loggia)

Scrivo queste cose – uscendo dalle tematiche proprie di questo blog (e arrischiandomi in territori che non mi appartengono!) – perché, come già premesso, sono convinto della necessità di riflettere su che cosa sia la scienza e sull’atteggiamento corretto verso di essa. Mi indispone la supponenza, la chiacchiera disinvolta di giornalisti e conduttrici e conduttori televisivi e loro immancabili “ospiti” abituali, gente che – a parte, forse, una mezza dozzina di virologi onnipresenti – non ha mai letto un rigo di Galilei e tanto meno di un Popper, che alla natura e carattere della scienza ha dedicato una vita di studi. Chiarisco, tra parentesi, per chi ancora non lo avesse capito, che io non intendo pronunciarmi sui contenuti che vengono proposti e difesi (non sono competente, già lo sapete!), non intendo gareggiare con i sullodati personaggi. Il mio è un discorso di metodo, e, se si vuole, di teoria della scienza in generale. Mi indigna la sicumera con cui queste persone, in nome e per conto della Scienza, attaccano, insultano, deridono,  silenziano chiunque osi esprimere qualche dubbio, qualche domanda in merito a ciò che la versione corrente della materia presenta come “la Scienza”, senza nemmeno (a parte le eccezioni) sapere di che cosa si parla. Queste persone, magari ingenuamente convinte di essere galileiane, se avessero letto almeno il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, si accorgerebbero che il loro modo di comportarsi ricalca molto più da vicino l’atteggiamento del povero Simplicio che quello del signor Salviati o del signor Sagredo. La scienza, quella vera, si nutre non di certezze indiscutibili (queste si chiamano propriamente dogmi di fede, e appartengono alla religione non alla scienza!), bensì di dubbi, di domande, di messa in discussione, di tentativi di confutazione del già acquisito… La scienza, quella vera, soggiace al popperiano criterio di falsificabilità


L’ottocentesco Osservatorio astronomico di Arcetri
a poche centinaia di metri dal “Gioiello”
 


 

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