sabato, giugno 30, 2018

La lingua del Grande Fratello. II






Obiettivi, struttura morfosintattica e lessico della neolingua


Propaganda  politica contro la Brexit (da "Unherd")

Come promesso nel post precedente, in questo articolo mi propongo di chiarire gli obiettivi della neolingua, la sua struttura morfosintattica, la consistenza e qualità del lessico.

Orwell e l’importanza politica della lingua

Il rapporto della lingua con il pensiero in generale, e conseguentemente con l’atteggiamento politico, stava molto a cuore a Orwell. Più o meno nello stesso periodo di redazione del romanzo dedicò ad esso studi di carattere scientifico. Nel 1946, per esempio, pubblicò un saggio ancor oggi molto studiato nelle Università, nonostante alcuni suoi suggerimenti appaiano discutibili. Si tratta di Politics and the English Language. In esso l’autore mette in guardia dal linguaggio dei politici, e mostra come lo svilimento della lingua – l’imprecisione e la sciatteria linguistica – favorisca il conformismo e l’adesione acritica all’ideologia corrente. 
Dedica un “saggio” anche alla lingua d’Oceania (“I princìpi della neolingua”) e, per non intralciare la narrazione, lo colloca in “appendice” al romanzo. Ce ne serviremo ampiamente per la presente esposizione.

Finalità della neolingua

Come mai tanto lavoro, tanto impegno per “riformare” la lingua?
L’obiettivo della Neolingua è di restringere l’estensione del pensiero” – spiega Syme, il filologo appassionato di impiccagioni. E ancora: “Ogni anno meno parole, e l’ampiezza della coscienza sempre un po’ più angusta”. Più chiaro di così… Ma questo è solo un obiettivo intermedio, funzionale a una finalità superiore: l’ortodossia, resa perfetta dall’inaridimento della capacità stessa di pensare. “Alla fine noi renderemo letteralmente impossibile il reato di pensiero, perché non ci saranno parole con cui esprimerlo”.
Esagerazione? Facciamo un’ipotesi. Voi, pur educati nell’Ingsoc e nella neolingua (“La Neolingua è l’Ingsoc e l’Ingsoc è la Neolingua”!), voi, a dispetto di quell’infame sistema educativo, conservate bastante intelligenza per capire che gli incessanti encomi della bontà del Grande Fratello sono infondati. E quindi, sulla base del linguaggio disponibile, arrivate a formulare, a vostro rischio e pericolo, un giudizio di questo genere: “Il Grande Fratello è imbuono”. Senza la possibilità di specificare, di argomentare con precisione il vostro pensiero, dall’apparenza inevitabilmente stravagante (è in contrasto col modo di pensare ufficiale, condiviso dalla maggioranza!), il vostro giudizio sarà considerato – nel più fortunato dei casi – appunto una stravaganza, un’assurdità detta per ridere. Quella che per voi doveva essere una critica al governo del G.F., avrà la stessa efficacia politica del vecchio detto “Piove, governo ladro!”
È per questo che “la Rivoluzione sarà completa quando la lingua sarà perfetta”, come recita la trionfale conclusione del filologo asservito al Partito. E la lingua sarà perfetta quando l’attività pensante sarà sostituita dall’automatismo tanto caro alla pigrizia mentale.

Fonetica e morfosintassi della neolingua

La base dell’immaginaria neolingua di Oceania è, naturalmente, l’inglese corrente al  tempo dell’Autore; quello che in neolingua viene denominato Oldspeak, “paleolingua”. Le modifiche “politicamente corrette” mirano a un drastico impoverimento di quella lingua inglese che, rispetto a lingue come l’italiano, per esempio, presenta strutture grammaticali già molto semplificate. In neolingua qualunque elemento lessicale può essere adoperato indifferentemente come verbo, sostantivo, aggettivo o avverbio. Brevità, elementarità, assoluta regolarità ne caratterizzano morfologia e sintassi. Eccezioni sono ammesse solo per ragioni foniche. All’eufonia è attribuita la massima importanza. Essa, infatti, con la facilità di una pronuncia fluida e senza inciampi, coopera potentemente all’obiettivo di un’articolazione linguistica automatica, puramente meccanica, con esclusione, quanto più completa possibile, delle funzioni superiori proprie del pensiero.  Parole invariabilmente di due o tre sillabe, con accenti regolarmente distribuiti sui due elementi costitutivi, favoriscono uno stile borbottante, allo stesso tempo staccato e monotono. Uno stile definito “duckspeak”, “schiamazzare come papere”. Definizione non molto lusinghiera – direte voi. Ma in “Oceania” non era così. Il massimo complimento cui potesse aspirare un oratore politico era la definizione di doubleplusgood duckspeaker (“bispiubbuono schiamazzatore”). Insomma, l’obiettivo ideale era – si chiarisce nell’Appendice – un parlare emergente direttamente dalla laringe, senza alcun intervento del cervello.

Il lessico

Al raggiungimento del risultato finale il contributo più importante è dato dalla riforma del lessico, sottoposto a un minuzioso lavoro di riduzione e ripulitura.
La “semplificazione” mira a ridurre la disponibilità complessiva di rappresentazioni mentali, di germi di pensiero: nozioni, distinzioni, sfumature… Insomma, l’eliminazione di tutto quanto, per via di associazione o altro, possa stimolare una qualche attività cerebrale autonoma, suscettibile d’intaccare il piatto conformismo, l’irriflessa adesione a all’INGSOC, al Pensiero unico del Superstato.
Si opera per gradi.
Prima di tutto si mette mano alla scure, e si disbosca il lessico della paleolingua di tutto quanto non risulti strettamente necessario a una vita pratica elementare e allo striminzito tessuto ideale dell’INGSOC. I vocaboli sopravvissuti vengono poi mondati, ripuliti di tutte le implicazioni politiche non ortodosse, di elementi accessori e valenze connotative sospette, in modo che il contenuto mentale da esso risvegliato sia ridotto “to the bone”, “all’osso”; al nudo nòcciolo del significato di base, “rigidamente determinato”. Prendete l’aggettivo free (“libero”): una parola pericolosa, per le inevitabili implicazioni (“libertà politica, libertà di pensiero” ecc.). Sono appunto queste associazioni mentali, queste  “escrescenze” che vanno resecate. Free sarà ancora libero di esistere, ma solo nel significato elementare di “sgombro”, “esente”: cane libero da pulci, campo libero da erbacce…

Il contenuto dell’undicesima edizione del Vocabolario di Neolingua

Al termine di questo lavoro, le parole autorizzate a entrare nell’undicesima edizione del mitico Vocabolario di Neolingua, di Syme et alii, risulteranno distribuite in tre classi:

Vocabolario A: vocaboli indispensabili ad esprimere i bisogni e gli oggetti d’uso di una vita al limite della miseria qual è quella del Superstato d’Oceania.

Vocabolario C: “lessico scientifico”: liste di vocaboli, rigidamente distinte secondo gli ambiti disciplinari, depurati da connotazioni accessorie, ad uso esclusivo degli specialisti.

Vocabolario B
È quello politicamente più importante e delicato, oggetto delle cure più scrupolose da parte dei compilatori. “Consisteva di vocaboli costruiti specificamente per finalità politiche: vocaboli, cioè, che non solo avevano in ogni caso un’implicazione politica, ma erano intesi a imporre, alla persona che li usava, un atteggiamento mentale desiderabile”.
Qualche esempio ne chiarirà natura e caratteristiche.
Partiamo da un aggettivo emblematico della neolingua: bellyfeel, composto di belly, “pancia”, e della radice verbale feel, “sentire” nel senso di “provare sentimenti”. Designa una dote indispensabile al buon cittadino di Oceania: l’adesione immediata, istintiva, all’ideologia del Partito.
Una categoria particolarmente importante di questo genere di vocaboli è quella delle “blanket words” (letteralmente: “parole-coperta”): espressioni generiche, di significato vago ed esteso. Ogni blanket word assorbe (e quindi fa sparire) tutta una serie di vocaboli esprimenti nozioni più o meno affini, ma distinte, e dunque capaci di attivare una qualche forma di pensiero analitico e valutativo. Prendete, per esempio, le nozioni di onore, giustizia, morale, internazionalismo, uguaglianza, democrazia, scienza, religione… Nessuno dei vecchi che tali vocaboli conoscevano osava più pronunciarli. Chi ne doveva parlare, o doveva tradurli in neolingua, ricorreva invariabilmente alla blanket wordcrimethink” (“idea criminale”). Così le nozioni incentrate sui concetti di “oggettività”, “razionalismo” e simili erano tutte ridotte a un unico vocabolo: oldthink (“paleopensiero”, pensiero antiquato, vecchio, démodé…), con l’immancabile connotazione di fiacchezza, decadenza, morte.  Insomma, conclude Orwell,  “da un membro del Partito si esigeva un modo di vedere analogo a quello dell’antico ebreo che sapeva, senza sapere altro, che tutte le nazioni diverse dalla sua adoravano ‘falsi dèi’”, poco importava se questi fossero tra loro profondamente differenti, come Baal, Osiride, Moloch o Astarot…
In altre parole, la massima cui il cittadino doveva attenersi potrebbe essere formulata più o meno così: tutto quanto non è contemplato nell’ortodossia è vietato, punito con castighi indeterminati ma comunque spaventosi.
Così – per fare un altro esempio – tutto l’ambito della vita sessuale era coperto da due sole parole: goodsex e sexcrime. Goodsex (“sesso sano”) designava l’usuale rapporto tra uomo e donna finalizzato esclusivamente alla procreazione. Questo sapeva il “buon” cittadino; e inoltre che qualunque altra cosa potesse balenargli per la mente in relazione al sesso ricadeva nel sexcrime, nel “delitto sessuale”, sanzionato con pene severissime, a discrezione del giudice (nel Superstato di Oceania naturalmente non esistevano leggi scritte!).

Nel Vocabolario B nessuna parola era neutrale. Era sempre connotata, in senso positivo o negativo. Un gran numero di esse erano “eufemismi”. Appartengono a questa categoria (lo abbiamo visto nel post sul G.F.) parole e locuzioni  “risemantizzate”, dotate di significato nuovo, con procedimenti che svelano gusto per l’antifrasi (piegare un’espressione a significare esattamente l’opposto del suo significato abituale), o, forse meglio, per il sarcasmo beffardo. Ricorderete le fantasiose denominazioni dei Ministeri. E ora provate a indovinare che cosa designava la parola  Joycamp, “campo di gioia”. Sì, proprio quello: il campo di lavori forzati. Meno diffusa la categoria di vocaboli connotati da franchezza brutale. Tale, per esempio, prolefeed, “nutrimento (verrebbe da dire “mangime”) per i prol”, che designava il “nutrimento spirituale” ammannito ai proletari: notizie grossolanamente inventate, intrattenimenti-spazzatura… (no, per favore, non mi fraintendete: non sto parlando della televisione!).
Abbiamo già osservato la predilezione della neolingua per gli incroci abbreviativi. Hanno lo scopo di evitare associazioni non gradite. Orwell esemplifica con un esempio storico: Comintern. L’espressione completa “Internazionale comunista” – argomenta – “richiama un quadro composito di universale fratellanza umana, bandiere rosse, barricate, Carlo Marx e la Comune di Parigi”. Comintern, invece, “suggerisce nient’altro che un’organizzazione compatta e un corpo dottrinale rigidamente determinato. È una parola che si pronuncia quasi senza pensare, mentre “Internazionale comunista” è un’espressione su cui si è costretti a soffermarsi, almeno per un momento”. Astruserie? Mah, pensate all’espressione “Tizio è stato nominato Capo del MIUR”, che fila via liscia come l’olio, senza suscitare idee accessorie. Ora confrontatela con la formula “Tizio è stato nominato Capo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica”, magari scandendo le singole parole. Non viene spontaneo pensare che si tratti di un Ministero da far tremar le vene e i polsi, con immediato impulso a valutare l’adeguatezza della persona insignita di una tale responsabilità?


La letteratura

E la letteratura? I libri, i giornali del passato?
La massima parte spariva dalla circolazione: non era mai esistita. Ragioni di prestigio potevano consigliare, invece, la conservazione dei grandi classici, come Shakespeare, Milton, Swift, Byron… In questo caso si procedeva alla traduzione in neolingua, cioè a una riscrittura, a una “reinterpretazione”, a una di quelle “rivisitazioni” – di cui si compiacciono certi critici, o certi registi teatrali – che del significato originale conservano “il giusto”, come alcuni dicono in Toscana quando vogliono significare “molto poco”
E se qualche brandello di testo fosse sfuggito a distruzione e traduzione? 
Orwell riporta l’esempio – senza peraltro analizzarlo – di un brano della Dichiarazione d’indipendenza americana. Supponete una società in cui siano state spazzate via nozioni di ordine religioso, di uguaglianza socio-politica, di libertà intellettuale e politica, di diritto… E ora pensate a frasi del tipo “tutti gli uomini sono stati creati uguali”: creati?! uguali?! tutti gli uomini uguali?! L’autore doveva essere matto: non è forse vero che ci sono uomini con i capelli biondi e altri con i capelli neri? Alcuni robusti, altri smilzi… Ma come fa, questo scemo, a parlare di uomini “uguali”?! Oppure: “dal loro Creatore sono stati dotati di certi diritti inalienabili”… Creatore?! diritti?! Mah, flatus vocis, vento, espressioni senza senso…

E fermiamoci qui, ché il discorso è già stato troppo lungo. Nel prossimo post (più breve, più breve!) vedremo qualche saggio di newspeak nell’attuale dibattito politico italiano. (E sveleremo l’esito della profezia di Winston su Syme!). A sabato prossimo!

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