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Ritratto femminile
da El Fayyum
(già lo conoscete
dal post precedente).
L’espressione del
viso fa pensare alla sua
sfortunata conterranea.
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Dopo due
post precedenti, dedicati il primo al personaggio storico di Hypatia, e il
secondo alla sua tragica fine, ecco ora il riassunto del libretto in cui quella fine è, dallo stesso musicista,
poeticamente rielaborata in funzione del rivestimento musicale che la tradurrà
in “dramma lirico in tre atti”.
Atto I, [sc. I]
“Terrazzo su una torre del palazzo tolomaico”, da cui
vista su tutta Alessandria e sul mare inondato di luce. Quasi al centro Cirillo,
il patriarca, “seduto in cattedra” come un monarca orientale.
Giunge Eudocia, madre di Oreste, prefetto (cioè
governatore) dell’Egitto. Viene da Efeso, obbediente all’ordine di Cirillo. T’ho
convocata – dice il patriarca – per un incarico di estrema importanza:
convincere tuo figlio, in guerra con me per via della cacciata “di quei figli irrequieti d’Israele”, a
rifare pace. Oreste – spiega – soggiace al malefico influsso della bellissima
Hypatia, coltissima e punto di riferimento di un piccolo gruppo d’irriducibili
pagani. Basterà che ti rechi oggi stesso a quella candida casetta di lei, laggiù,
tra gli alberi, per chiederle di usare il suo ascendente sul prefetto per indurlo
alla pacificazione, minacciando, in caso d’insuccesso, di abbandonarla al furore
del popolo cristiano.
Atto I, scenario II
Delizioso giardino. Sul fondo la casa di Hypatia,
preceduta da portico. Sulla sinistra, immersa nel verde, l’esedra, ornata dei
tre numi tutelari della padrona: le erme di Omero, Pitagora, Platone. Ed eccola,
di ritorno dal mare, dove si è bagnata. Accompagnata
da bambini e ancelle, seguita da amici, tra cui Oreste, accolta con gioia dal
padre e dal di lui amico Ercoliano.
Attinge a piene mani fiori portati da fanciulli e ragazze
e ne orna l’erma di Omero. Spiega a Oreste, che non si capacita della sua
perenne devozione a “quel marmo”, che ogni volta che guarda l'immagine dell'antico poeta si sente
invasa dal “delirio”, dall’“estasi ineffabile” di chi accoglie in sé la
bellezza. E alla bellezza eternamente giovane – la poesia di Omero, i fiori, il
mare, il vento, il canto degli uccelli… (“ È Pan, l’eterno!”) – scioglie il suo inno (testo e commento
nel prossimo post). Un canto di riconoscenza al Re dell’Universo, al Dio che
crea il mondo rivestendolo della sua bellezza.
Alla statua confida la sua pena: ormai non spera più di
poter realizzare il suo sogno d’amore: estinta è la generazione degli eroi, per
sempre estinta. Risentimento di Oreste, che le ricorda il suo amore e il suo
ardimento. Hypatia malinconicamente gli ricorda la chiusura del Serapeo, in obbedienza
all’editto imperiale, e il divieto di accedervi. Ma quel
divieto lei lo infrangerà. Proprio là, tra quelle rovine, radunerà i superstiti
fedeli agli antichi valori.
Giunge Izèbel, l’ebrea convertita, cameriera di Eudocia. La
sua padrona – annuncia – vuol parlare a Hypatia, su mandato di Cirillo. Oreste
ammonisce l’amica: attenta, potrebbe essere una maga, un’avvelenatrice. “Oreste?!”
esclama Izèbel, sentendolo appellare così da Hypatia. “O signore / non bestemmiar…/ ella è… tua madre!”. Lei uscita, Oreste
chiede di poterla ricevere da solo. Hypatia acconsente, esortandolo a essere
gentile.
“Altri, non me, ten
vai cercando” – risponde a Eudocia che lamenta la fredda accoglienza del
figlio. So che sei irretito dal fascino e dalle arti
magiche di Hypatia – ribatte, e lo esorta a far pace con Cirillo, rinunciando a
proteggere gli ‘elleni’ (cioè i pagani), gli ebrei e gli eretici. E poiché Oreste
insiste che è disposto a far pace, ma senza accettare altre condizioni, “Sappi”
– gli rivela – che se non lo farai, “insorgeranno
i servi / di nostra chiesa, e gitteranno in quella / impura casa il fuoco”.
Inorridito, Oreste lo grida agli “elleni” sopraggiunti, seguiti dai “galilei”
(i cristiani) capeggiati da Ammonio. In cori contrapposti, elleni e galilei si
lasciano andare a provocazioni e insulti reciproci.
Richiamata dal volgare baccano, esce Hypatia. Oreste la
informa delle intenzioni di Cirillo. “Se
non ti penti e ti sommetti a lui!” corregge Ammonio, il fanatico braccio
destro del patriarca. Di fronte alla reazione sdegnata di Oreste, Ammonio
prende una pietra e si scaglia contro di lui. Trafitto dalla spada del
prefetto, muore (non proprio cristianamente!) invocando vendetta. Grida
d’approvazione dei pagani, promessa d’inesorabile vendetta da parte dei
cristiani. “Ancora sangue!” deplora
Hypatia desolata.
Atto II, [sc.
I]
Cameretta malamente illuminata da una lucerna. In un
lettino giace Eudocia, in ansiosa attesa di Oreste. Giunge, “avvolto
in un manto nero”, Pietro, il lettore, messaggero di Cirillo. Se Oreste non
cede, Hypatia e i suoi saranno massacrati. Eudocia inorridisce: “Iddio” – dice saggiamente – “non vuole i corpi de’ nemici suoi / ma
l’anime pentite”. È necessario
ucciderla – spiega il lettore:
… Lei spenta,
d’incanto vaniranno
gli avversarȋ
nostri, quali ombre
a lo sparir del fuoco;
poiché del mondo
antico,
costei è la sola
fiamma che arda ancor.
Ma come? – chiede sgomenta Eudocia – Cirillo vuole la sua
morte?! Pietro non risponde alla
domanda. Si limita a farle sapere che folle di monaci si aggirano per la città,
apertamente minacciando morte alla “meretrice
immonda”. Questa è, per Oreste, l’ultima chance – conclude. Se non si sottometterà, Cirillo ti ordina di
accendere una fiaccola ed esporla alla finestra, prima che lui possa giungere a
tentare di salvare Hypatia. Solo così, forse, potrai salvarlo dall’imminente
strage.
Giunge Oreste. Colloquio penoso: Eudocia è convinta che
il figlio sia sotto il fascino malefico di Hypatia, Oreste è sicuro che la
madre sia plagiata dalle arti del vescovo, quel Cirillo che “per sete di dominio, / avvolge d’odio chi non gli si prostra”. Alla
fine Eudocia, convinta dell’irrimediabile perdizione del figlio, lo disconosce,
affidandolo a Dio. Solo gli chiede la promessa che, almeno per stanotte, starà
lontano da Hypatia: non vuole morire figurandoselo insieme con la maledetta.
Partito Oreste, Eudocia invoca la vendetta di Dio e ordina
all’ancella di esporre la fiaccola, ma questa rifiuta e fugge per tentare di
salvare Hypatia. La espone Eudocia di persona, scatenando la folla inferocita, già
radunata sotto casa.
Atto II, Scenario
II
Notte, tra le gigantesche rovine del tempio di Serapide,
abbattuto per ordine di Teodosio. Hypatia ha mantenuto la sua sfida. Proprio
qui, tra queste imponenti rovine interdette ai devoti dell’antico culto, e da
tempo abbandonate, si sono radunati, su suo invito, i pochi alessandrini
rimasti fedeli alle antiche divinità. E qui, all’insolita luce di torce e
fuochi votivi, si svolgerà un rito misterioso, seguito e condiviso da una
variopinta folla in festa.
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Nulla, ch’io
sappia, è rimasto dell’Alessandria
greco-romana.
Delle imponenti
rovine del Searapeo, teatro della ‘sacra
rappresentazione’ di Hypatia,
può forse dare un’idea questo scorcio notturno del Tempio di Venere e Roma.
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Preceduta da musici e sacerdotesse in abito purpureo, entra
Hypatia, vestita di bianco e coronata di fiori, seguita da persone addette al
culto, da Teone e filosofi, da gente del popolo. Sale i gradini di quel che
resta dell’antico altare, e prega Dio, concepito in termini neoplatonici.
Quindi si rivolge alla folla, invitando al coraggio e alla forza necessari per
sostenere la lotta scatenata dai cristiani.
Il rito appena cominciato è interrotto da un inquietante rumore
di armi. No, non sono i temuti galilei; è Oreste, scortato da guardie unne, accolto
con esultanza dagli elleni, che gli chiedono protezione. Tenero colloquio tra i
due, interrotto dal sacro araldo, che invita tutti al silenzio e a spegnere le
fiaccole. Hypatia si ritira, Oreste si accosta all’altare, scosso dalla
dolorosa visione della madre corrucciata. Buio.
Riprende il rito religioso, una iniziazione – voluta da
Hypatia – “al sacro e arcano senso / del
flusso de la vita e de la morte”, necessaria a sostenere lo scontro
imminente. Presto ci accorgiamo che ciò
che si sta svolgendo sotto i nostri occhi è una sorta di “sacra
rappresentazione” pagana: la solenne commemorazione del millenario momento di reincarnazione delle anime, ripreso pari pari
dal platonico mito di Er.
Nel buio si odono voci. Sono le anime provenienti dal
Tartaro, di coloro, cioè, che hanno concluso la lunga espiazione delle colpe
commesse nella vita precedente (Coro I). Specularmente rispondono le anime
scendenti dal Cielo, premiate per la saggia condotta nella vita terrena, e ora
destinate a nuova prova (Coro II). Ed ecco un raggio di luce bianchissima, verticale
su Hypatia, illumina la scena. Su un trono, al centro, vediamo assisa lei,
Hypatia, nelle vesti auguste della Necessità.
Attorno a lei girano, a passo di danza, mime disposte in otto cerchi
concentrici a rappresentare le orbite dei corpi celesti. Di fronte alla Necessità stanno i troni delle Parche
(Cloto, Lachesi, Atropo).
Dileguatesi le mime, entrano in scena, dai due lati, le
anime dei purificati e quelle dell’empireo: si fondono accogliendosi come chi
si rivede dopo lunga assenza (lunga un millennio, infatti!). Lo jerofante
(propriamente interprete e guida del rito) prende manciate di spighe dal grembo
di Lachesi e le sparge al suolo. A turno le anime scelgono ciascuna una spiga (il destino che determinerà la nuova
vita!), poi, dal grembo di Lachesi, una sferetta luminosa, simbolo del genio
tutelare che le assisterà nella vita incipiente. Ciò fatto, si dispongono
attorno al trono della Necessità, ritta in piedi e con le braccia verso di
esse. Quindi, all’invito delle
Parche, tutte si dirigono verso la pianura del Lete, mentre la Necessità si
inabissa lentamente.
“Sàlvati, Hypatia, sàlvati!” – grida Izèbel irrompendo
sulla scena. A Oreste rivela che i fanatici cristiani hanno giurato di uccidere
la donna e sono già qui. Si avanza Pietro, che promette salvezza a tutti purché gli sia
consegnata “la scellerata”. Ma Oreste
con le sue guardie e i pochi elleni non fuggiti li ricaccia verso il fondo,
mentre donne e bambini accorrono intorno a Hypatia. Voci femminili annunciano
che i “parabolani” (tra i cristiani quelli di più ottuso fanatismo) incendiano
le case. Hypatia le rassicura: se il prezzo della salvezza è il suo sangue, è
pronta a versarlo. “L’Ellade muore” –
conclude desolatamente il canto – o pianto – delle donne.
Atto III
Piazza d’Alessandria. A sinistra la chiesa del Cesareo, a
destra la casa di Oreste. Notte. La chiesa è aperta e illuminata. Fedeli inginocchiati
sui gradini e anche nella piazza.
Pietro incita la folla di fedeli (che reclamano vendetta
per Ammonio), esortandoli a non lasciarsi ingannare dall’aspetto seducente
della nemica. Eccitati e furiosi, si disperdono urlando verso il fondo, in direzione
dei giardini imperiali.
Entra in scena Hypatia, ancora con gli abiti rituali
dell’atto precedente, seguita da Izèbel che inutilmente la esorta a fuggire. Giungono
elleni con pessime notizie. Tra essi Teone, che scongiura la figlia a partire: una
nave è pronta a portarli lontano. Urla remote e suon di corni fanno credere a Hypatia
che Oreste abbia vinto; invano alcuni avvertono che sono i galilei. Qualcuno
afferra Teone e lo trascina lontano dal pericolo.
Giungono marinai e schiavi ubriachi, preceduti da Jerace.
Le due donne si ritirano verso il pozzo, posto in primo piano sul lato destro
della scena. Alcuni riconoscono Hypatia e vorrebbero metterle le mani addosso;
altri (ariani) chiedono perché. Perché
– spiega Jerace – a quanto si dice, è per
i suoi filtri magici che Oreste è nemico dei cristiani. I due gruppi
litigano. Izèbel ne approfitta per spingere Hypatia nel Cesareo, mentre lei
resta fuori, richiudendo la porta.
Ed ecco i cristiani, guidati da Pietro. Riconoscendo Izèbel,
il caporione la minaccia di morte se non svela il nascondiglio di Hypatia. Spaventata,
la donna indica l’abitazione di Oreste. I cristiani accorrono intenzionati a
incendiare la casa quando, vestito di nero e pastorale in mano, appare Cirillo.
Rimprovera Pietro per l’attentato alla dimora del prefetto. “Signor… – gli risponde – la donna / che per incarco tuo cerchiam… lì
entro / s’è rifugiata”.
Ma ecco Oreste. Ardente di sdegno, attraversa impavido la
folla e affronta Cirillo, accusandolo di aver ucciso una donna per colpirlo. Non
per odio mi son mosso contro di lei – gli risponde il vescovo – “ma perché in essa alligna / la radice del
mal che ci divide!”. Ad ogni modo Hypatia è viva, rifugiata nella tua casa,
in mio potere. Ho vinto – dice – ma voglio essere clemente. Ella sarà salva,
purché parta immediatamente per l’esilio. Oreste nega, ma Cirillo ne ha intuito
la disperazione interiore. Messagli paternalisticamente una mano sulla spalla,
entra nella casa, seguito dallo sconfitto. “Hypatia!” grida Oreste. La filosofa ode il
richiamo dal suo rifugio e appare sulla porta della chiesa, serena, illuminata
da un raggio di luna. Oreste – le dice Pietro – è entrato in casa insieme con
Cirillo per annunziarti che avrai salva la vita in cambio dell’esilio. Hypatia non
vuole, non può crederci. Nondimeno, “Son pronta a morire – esclama – ma prima
di farmi abbandonare la mia città natale dovrete svellermi
le membra ad una ad una!”. Si riode il
richiamo di Oreste. Hypatia risponde e si slancia verso l’abitazione. La folla
cede, si apre… “Muoia!” grida qualcuno. La
massa inferocita si rinserra intorno a lei, ingoiandola. Piomba come un fulmine
su quell’ammasso omicida Oreste, scindendolo. Troppo tardi. Lo vedremo riemergere
sorreggendo tra le braccia il corpo inerte di Hypatia. “Ohimè! C’han fatto!... / Oh forsennati!” deplora il patriarca
uscendo dalla casa.
“Hypatia! Hypatia!”
– compiange Oreste; “[…] Troppo splendevi
a gli occhi di costoro; / perciò t’odiavano! Ad un’antica dea troppo eri
simile… / perciò t’infransero…”.
“La colpa è sua!
/ Falsa, al par de’ suoi falsi dei, fu
essa!” – insulta il tristo lettore. Che paga sull’istante, trafitto dal
prefetto, la sua temeraria impudenza.
“L’anàtema su chi
di voi si muove!” – grida il patriarca alla folla inferocita che vorrebbe
linciare il prefetto che, incurante del pericolo, è assorto nella
contemplazione della donna distesa al suolo. Poi, rivolto a
Oreste, giura di non aver voluto lui la morte della donna, e gli ripropone la
pace. “L’odio, l’odio furente come l’Idra
/ Oreste t’offre in cambio!” – risponde. E, rinfacciatogli ancora una volta
l’assassinio, dà il suo addio alla “città maledetta”, votata alla tirannide, lasciandole,
a perenne memoria, la sua spada insanguinata.
La folla, seguita da Cirillo e dai tedofori, porta in
processione il corpo di Pietro dentro la chiesa. La porta si richiude. La scena
rimane vuota e buia.
Tornano ad ardere le stelle. Hypatia, agonizzante, rialza
il capo a contemplarle ancora una volta. Il loro lucore sbiadisce gradualmente,
sopraffatto dalle fosche fiamme degli incendi appiccati dai cristiani. A quella
luce sinistra diventa visibile a Hypatia (e agli spettatori) l’immagine
bizantina del Redentore sulla facciata della chiesa.
Oh uomo, o dio… per
te che son? Perché…
perché mi fissan
gli occhi tuoi in tal modo…
perché son essi
lacrimosi e tristi?
È forse per pietà…
di me… che piangi…?
Sono le ultime parole di quella donna meravigliosa,
vittima del fanatismo ignorante. “Ella muore. – dice la didascalia – I battenti
de l’ecclesia si aprono lentamente e ne esce una luce che cade sul corpo
d’Hypatia”. Evidentemente a indicare che il Redentore è con lei, non con gli
assassini. E sarebbe stata una splendida conclusione. Ma l’autore fa risuonare
un coro interno:
O Signor, cos’è
l’uom, che n’abbi cura?
Cos’è il figliuol
de l’uomo
che tu ne faccia
conto?
Simile a vanità
è l’uomo; i giorni
suoi son come l’ombra
che passa.
Lo scopo, certo, è quello di proiettare la tragedia
d’Ipazia sullo sfondo della miseria umana. Ma, a mio modesto parere, è una
conclusione alquanto scontata, e anche un tantino incongrua, messa in bocca a
un coro di bruti che dell’umanità ha appena fatto scempio.
Spunti di analisi
La lunghezza del riassunto – necessaria a una visione
chiara e completa della trama e delle motivazioni e carattere dei personaggi
– m’impone, in sede di analisi, di limitarmi a qualche spunto, che il lettore potrà sviluppare in proprio.
a) la storia
La composizione del libretto fu preceduta, da parte
dell’autore, da studi e ricerche accuratissime. Il frutto di queste fatiche è
facilmente rilevabile nella precisa collocazione dei fatti sullo sfondo della
turbolenta Alessandria dell’epoca (e, a un livello più alto, nel quadro del trionfo del cristianesimo sulla civiltà
pagana); nella altrettanto precisa collocazione ideale della protagonista nella
filosofia neoplatonica, e, soprattutto, nel rispetto dei dati storici
essenziali. È questo che gli consente,
circa l’inevitabile nodo problematico della responsabilità diretta del
patriarca, una scelta equlibrata, che si traduce nel lasciare il
problema irrisolto. Alla precisa domanda di Eudocia, Pietro non dà
risposta. È vero che, poi, al vescovo designa
Hypatia come “la donna / che per
incarco tuo cerchiam”, ma l’ordine di cercarla non implica quello di
ucciderla, e, meno che mai, di farne strazio.
E, d’altra parte, il patriarca giura, in un momento solenne che
renderebbe mostruoso un falso giuramento, di non aver voluto lui la morte della
donna. Sempre per bocca di Pietro viene invece individuata con precisione – a
mio modo di vedere – la vera causa della morte della filosofa: non quella,
ridicola, dell’invidia, ma la protezione che – tramite l’amicizia del prefetto
– ella esercita sui superstiti pagani. E dunque, in definitiva, l’insanabile
conflitto ideale.
b) Hypatia e Oreste:
due sconfitti
Nobilissima la figura di Hypatia, sintesi e
personificazione di una civiltà splendida ma ormai al tramonto. «Del mondo antico – dice giustamente
Pietro – costei è la sola fiamma che arda
ancor». Una sopravvissuta, certo, ma
ben risoluta a non abbandonare la lotta.
Nonostante l’affetto e la stima di cui la circondano i
suoi partigiani, è sostanzialmente sola. I pagani superstiti si affidano a lei,
ma non sono in grado di difenderla dalle orde di monaci fanatici e risoluti, e
dall’isteria della plebaglia che li segue. Oreste ne è innamorato e cerca di
aiutarla, ma in fondo nemmeno lui la capisce (e la donna ne è ben consapevole):
troppo alti gli ideali di lei, troppo lontani dalla meschina realtà quotidiana.
Hypatia lotta sino alla fine, accettando di pagare con la
vita la fede nella cultura e l’attaccamento alla sua un tempo splendida città
natale: se volete cacciarmi – dice con tragica preveggenza – dovete prima svellermi le membra ad una ad una! Oreste, a sua volta, scopertosi disarmato
e impotente di fronte al fanatismo ignorante e isterico, schifato e disperato abbandona
patria e potere.
c) la forma
Il testo è redatto in versi, prevalentemente
endecasillabi con inserzione frequente di settenari e, più raramente, di
quinari. Lingua caratterizzata da una patina arcaizzante che contribuisce a
sollevare la materia in un’aura di ieratica maestà, degna dello scontro finale
di due mondi, l’uno al tramonto, l’altro nel momento della sua vigorosa
ascensione.
Nel complesso, a mio modesto parere, un ottimo libretto,
funzionale al suo ufficio di supporto o, meglio, di componente poetica del
dramma in musica, dotato esso stesso di valore autonomo. Geniale, in direzione
della wagneriana “opera d’arte totale” (Gesamtkunstwerk),
l’inserzione del mito di Er. Nelle mani di un bravo coreografo, rispettoso del
testo e della sua funzione (più che della propria narcisistica vanità), può
diventare un momento di eccezionale spettacolarità, oltre che di profondo
significato filosofico.
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Quanto più
rispondente al Vangelo questa mite immagine di Cristo buon pastore
piuttosto che
quella violenta e vendicativa dei fanatici alessandrini!
Eppure l’anonimo
mosaicista ravennate la compose solo qualche decennio dopo l’assassinio di quella
“adorabile filosofa, prediletta da Dio”!
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