Paola Borboni
nello splendore dei
suoi trent’anni
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Non vorrei lasciar passare questo triste mese di aprile
senza condividere un ricordo della bravissima attrice Paola Borboni (su di lei vedi anche Nicolaj), scomparsa
venticinque anni fa proprio il 9 di questo mese. Un ricordo pieno di
ammirazione per il fresco senso dell’umorismo e la vivacità intellettuale a dispetto dell’età già molto avanzata.
La vidi recitare a Lubiana in una sera di giugno del
lontano 1988. Interpretava il ruolo di Madeleine (con Anna Perino nelle vesti
della ragazza) in Savannah Bay, una pièce scritta da Marguerite Duras cinque
anni prima, ma della quale, ahimè, non sapevo proprio nulla.
Luogo dell’evento la piccola sala del Mladinsko
Gledališče, piuttosto squallida (come da copione, avrei saputo in seguito). Pubblico
poco numeroso. Né avrebbe potuto essere diversamente, se si pensa che la
recitazione era in italiano e, già di per sé, il testo non è di facile
comprensione.
Frammenti di memoria, talvolta ossessivi, sempre
incoerenti e pieni di incertezze: episodi ed emozioni vissuti nella vita
reale o soltanto nel teatro? Ma teatro e vita reale s’intrecciano e sembrano convergere
verso un nodo doloroso, anzi tragico. Lo lascia indovinare anche la scelta
delle musiche, in particolare gli accenni deformati ai Pagliacci di Leoncavallo (“Un nido di memorie”…, “E se
Arlecchin”…). Azione scenica piuttosto monotona, nonostante misteriosi
frastuoni amplificati dalla cassa acustica che ci sta proprio vicina (siamo in
terza fila) e che spaventano la mia bambina (che tuttavia resiste eroicamente
fino alla fine, sempre attenta, chiedendo di tanto in tanto spiegazioni: perché piange? Perché
raccoglie quelle palle e le mette nella cesta? Perché giocano?...).
Il testo sembra scelto su misura per la Borboni, questa vecchietta ultraottantenne ancora in forma. Difetta ormai di memoria e di sensibilità uditiva: una voce misteriosa suggerisce a voce abbastanza alta (dai nostri posti si sente distintamente) e talvolta l’anziana attrice porge l’orecchio verso il punto dove sa che è nascosto il suggeritore (gesto evidentissimo) in attesa del soccorso. Qualcuno dietro di me ride, ma forse senza malignità. Del resto, alle volte viene persino il dubbio che anche queste vere o presunte difficoltà dell’interprete facciano parte del gioco scenico.
Alla fine comunque il pubblico applaude a lungo, come se
volesse moltiplicarsi e colmare anche i posti vuoti. Un signore (il direttore
del teatro?) legge in sloveno un indirizzo di saluto. Vasilka Stanovnik, in
veste di interprete, comincia a tradurre ma la Borboni le tronca la parola in
bocca (“Ho capito tutto, sa?”). Il pubblico applaude. (“Del resto – aggiunge –
saranno state parole gentili”). Il signore continua, conferendole un diploma
d’onore con iscrizione in latino di cui fornisce la traduzione slovena. “Posso
tradurre?”, domanda Vasilka. “Sì sì, traduca, ché ora la faccenda è un po’ più
complicata”. Alla fine ringrazia, e aggiunge: “Gliel’ha detto a questi signori
del pubblico quanti anni ho? Io ho ottantotto anni e mezzo. E ho cominciato a
fare teatro a 16 anni, 73 anni fa. Vedo tra di voi molti giovani. Beh, se siete
rimasti seduti siete stati molto gentili. Sono contenta e vi ringrazio”. Poi
manda attraverso il pubblico un saluto al sindaco di Lubiana, sorpresa che sia
una donna. “Io non sono mai stata femminista. Ma sono contenta quando sento di
una donna che occupa posti importanti. Noi donne forse siamo un tantino
schiave, ma non per debolezza; per amore dell’uomo!”.
Paola Borboni
all’inizio della
lunghissima carriera d’attrice
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