Martina Weindel, “La ‘Freiheit der Musik’ (la libertà della musica)
di Busoni versus ‘Futuristengefahr’ (il pericolo dei futuristi) di Pfitzner”.
in Busoni Arlecchino e il futurismo, Atti del Convegno, Empoli 13-14 marzo 2016, pp. 157-172 (v. Busoni Arlecchino e il f.).
Hans Pfitzner
(dal sito ub.uni-frankfurt.de)
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Alla
seconda parte del titolo del Convegno (… “e il futurismo”) dedica la propria
ricerca la studiosa tedesca Martina Weindel.
La
traduzione del Manifesto marinettiano e la prima esposizione di futuristi a
Berlino (1912) determinarono, in Germania, una polarizzazione tra conservatori
e innovatori. Tutti coloro che i conservatori avvertivano come un pericolo per
l’arte tràdita venivano promiscuamente accusati di ‘futurismo’. La vittima più
illustre di questa semplificazione è forse Ferruccio Busoni. “Lasciai Berlino
diffamato come futurista e mi ritrovo giudicato come non abbastanza
progressista” scrive al figlio Raffaello (1921). L’infamante accusa gli era
stata mossa in un risentito pamphlet di Hans Pfitzner (Futuristengefahr. Bei
Gelegenheit von Busonis Aesthetik, 1917) in reazione alla seconda versione
(1916) del suo Entwurf
einer neuen Aesthetik der Tonkunst (“Abbozzo di una nuova estetica
dell’arte dei suoni”).
L’autrice
chiarisce che il pericolo paventato
da Pfitzner si fonda su un grossolano equivoco.
Probabilmente
fuorviato dal carattere asistematico dell'Abbozzo busoniano, e da frasi
che a una lettura superficiale possono richiamare le sparate futuriste contro
la tradizione, il musicista tedesco legge l'intervento busoniano, e la sua
esortazione a svincolarsi da regole precostituite, come un rifiuto della forma
e un invito a far tabula rasa della grande tradizione musicale europea e
tedesca in particolare. Ma, in verità, Busoni non rifiuta il concetto di
forma strutturale. È invece convinto che – per usare le sue parole – “ogni
motivo contenga, come un seme, un germoglio”, che “in ogni motivo giace già
determinata la sua forma matura; ciascuna si deve sviluppare a modo suo, ma
ciascuna segue la legge dell’armonia eterna”. Una concezione, questa, che alla
studiosa tedesca richiama il concetto goethiano della "Metamorphose der
Pflanzen (la metamorfosi delle piante)"; e che al filosofo potrebbe
forse ricordare la teoria aristotelica dell'atto che non fa che
attualizzare ciò che è già in potenza, e al lettore italiano la tesi
desanctisiana della situazione che
determina la forma poetica...
Busoni ritratto da Boccioni (partic.)
(il musicista empolese stimava Boccioni
ma non condivideva l’estremismo
chiassoso del futurismo) |
Eppure
non mancano, fra i duellanti, importanti punti di contatto (natura astratta
della musica, singolarità della sua posizione rispetto alle altre arti,
carattere assoluto e incomparabilità della singola opera d’arte…). Ma le
differenze sono tante e inconciliabili. A partire da quella fondamentale:
mentre per Busoni le conquiste della musica precedente non sono che “l’inizio
di un percorso che deve ancora raggiungere il suo culmine”, per Pfitzner
l’evoluzione musicale ha già raggiunto un “periodo di massima fioritura”,
quello dell’epoca beethoveniana. Di quella vetta, che a lui appare minacciata
dalla successiva ‘decadenza’, Pfitzner si fa scudiero e paladino, accanendosi
“contro i componenti puramente tecnici e stilistici della ‘nuova musica’ proclamata
da Busoni”.
Pfitzner nel suo studio
(sullo sfondo il ritratto di
Schopenhauer,
filosofo molto presente nella musica
tedesca del secondo ’800)
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Saggio,
questo della Weindel, molto interessante, che fa chiarezza su una polemica che
inasprì gli animi dei protagonisti ben al di là di quanto le innegabili
divergenze fra i due avrebbero comportato se il dibattito si fosse svolto in un
clima più sereno.
A
conclusione (e tra parentesi) vorrei modestamente segnalare all'autrice una
probabile svista, o refuso, nella frase “la sua affermazione che la forza
creativa in una persona sia resa più riconoscibile quanto meno sia resa
indipendente da cose tramandate” (p. 161), dove probabilmente sarà da leggere “quanto
più sia resa indipendente...”.